C'erano due posti ai quali non rinunciavo quando, da
ragazzina, andavo a Roma a trovare mia sorella che lì faceva l'università:
Molayem al Pantheon - dove andavo a fare provviste sufficienti per un anno di
incensi e patchouli, ché a quei tempi non te li tiravano dietro al mercato come
oggi - e Rinascita, per comprare libri, dischi, gadget e, soprattutto,
respirare comunismo. Ci passavo delle ore.
Molayem è
finito nella merda già da tempo e Rinascita lo segue adesso: mentre a Torino la
casa di Gramsci è già diventata un albergo di lusso, oggi a Roma Rinascita
diventa un supermercato, il tempio del capitalismo selvaggio. Come dire? Dio è
morto, Gramsci è morto e anch'io non mi sento tanto bene. Anzi: mi sento
malissimo e avverto un senso di nausea che nemmeno un'intera confezione di
Debridat mi potrà guarire.
Io poi a
Rinascita, il giornale, molti anni dopo (e chi me lo doveva dire?), ci ho
lavorato, e questo mi inorgogliva molto. Rinascita è stata travolta qualche
anno fa dalla mancanza di soldi dei partiti comunisti che ha ucciso i partiti e
i giornali comunisti - perché tutti si lamentavano dei partiti che sono
"tutti uguali", ma nessuno votava per noi che eravamo diversi - e
però mai avrei immaginato che dei luoghi storici potessero fare quella fine,
senza che una sovrintendenza o una qualunque istituzione culturale si opponga.
E' come prendere a picconate il Colosseo per farci un parcheggio multipiano o
buttare già il Teatro San Carlo di Napoli e mettere al suo posto un cinema
multisala: cemento e profitto, profitto e cemento.
Oggi
Rinascita, la libreria, il tempio della cultura comunista, viene picconata,
buttata giù e uccisa come ultimo atto della sistematica distruzione di quelle
idee di uguaglianza, libertà e diritti, oggi incarnata dal renzismo. Dopo
l'articolo 18, sembra quasi "naturale" che svendano al capitalismo
anche Rinascita. Ma non è naturale: è un'infamia.