Un giorno non troppo lontano probabilmente Paola diventerà una
"inattiva" e ci racconteranno che in Italia c'è una disoccupata in
meno. E' l'andazzo della propaganda di regime: le parole che acquisiscono un
significato opposto a quello originario; la stampa - quasi tutta - che si fa
strumento di un gigantesco inganno.
Ieri ci hanno
detto con troni trionfalistici, come si conviene a una dittatura, che la
disoccupazione è in calo. Titolo "sparato". Poi è venuto il resto:
aumentano gli inattivi. Ma già l'attenzione del lettore/spettatore medio era
altrove e quasi nessuno si è accorto che gli inattivi non sono un'altra
categoria di lavoratori né tanto meno seguaci del dandismo, ma gente che non ci
crede più.
Fino a qualche
anno succedeva dopo una certa età e un certo numero di porte in faccia: ogni
anno che si aggiungeva a quello in cui ti avevano detto che per quel posto di
lavoro c'era un limite di età, significava un anno in meno di speranza. Finché
la speranza non è diventata sottile come un foglio di carta velina e si è
strappata al primo soffio di vento. I ragazzi di oggi sono precoci anche in
questo: ci arrivano molto prima di noi a capire che è finita.
E Paola, che
ha soltanto 28 anni, forse l'ha già capito. Altrimenti non avrebbe deciso di
raccontare la sua storia a Facebook, quindi praticamente al mondo, come chi sa
di non avere più nulla da perdere. O da trovare.
La sua storia
è uguale a quella di tante donne che si sono presentate a un colloquio di
lavoro: il padrone che fin dal primo momento ti manca di rispetto arrivando in
ritardo e dandoti del tu - avendo già deciso di farti sua schiava -, a dispetto
della tua professionalità e del numero di lingue parlate fluentemente, poi le
domande sulla vita privata: marito, figli. Ma saranno cazzi suoi? E lei questo
ha chiesto, ma molto più educatamente. Aggiungendo che si trattava di
informazioni riservate che avrebbe preferito non dare e sentendosi dire che il
colloquio era terminato, con tanto di questionario strappato platealmente in
faccia. Lei ha reagito, ha chiesto se anche ai maschi viene fatta la stessa
domanda, e ovviamente no, ha chiesto al tipo se gli interessasse conoscere le
sue competenze, e ovviamente no. Probabilmente l'unica cosa che interessava al
"dottor M. M." - come lo chiama Paola - era la carne fresca e l'aveva
chiamata curandosi solo di controllare nel curriculum l'età e quasi certamente
la foto, in attesa di verificare prima di ogni altra cosa la sua potenziale
"disponibilità". Non a lavorare indefessamente (si sa che le donne lo
fanno), ma forse a farsi dare una bottarella.
E' possibile
che Paola, quando ha deciso di raccontare su Facebook la sua storia poi finita
sui giornali, abbia fatto un po' di conti e abbia valutato il rischio di
renderla pubblica. Chi se la prende una che rivendica i propri diritti? E poi:
"max 28 anni". E' già tempo di dedicarsi all'inattivismo.