Abbiamo cominciato - a mia
memoria "commerciale" - con la festa della mamma, che ha fatto la
fortuna dei venditori di rose rosse; abbiamo proseguito con la festa degli
innamorati, in un tripudio di baci Perugina e immaginette sacre dei fidanzatini
di Peynet; e ancora con la festa del papà e le sue noiosissime cravatte
regimental e i disgustosi dopobarba; poi è arrivata la festa della donna che
una volta si chiamava giornata ma ai fini del mercato era poco vendibile ed è
diventata festa pure quella: mimose a strafottere, spogliarelli maschili per
sole donne, gadget, mariti premurosi, cena al ristorante e tutto quello che
contraddice lo spirito della giornata.
A
un certo punto le feste sono diventate un esercito: festa dei nonni, festa del
gatto, festa del cane, festa del canarino... tutte feste da un giorno. A
mezzanotte ridiventano zucche: poi si può riprendere ad ammazzare la madre
(sembra sia diventato lo sport nazionale), a tenere sulla corda la fidanzata
non telefonandole per una settimana intera, a cornificare la moglie, ad
abbandonare il cane, a seviziare il gatto, a farsi il canarino alla brace e
senza nemmeno la buccetta di limone. Un giorno per il business è più che
sufficiente, anche perché ce n'è una al giorno e l'intero anno è coperto,
domeniche e feste comandate comprese, durante le quali i negozi restano aperti
in nome del profitto e alla faccia del diritto del lavoratore al riposo. Strano
che qualcuno non abbia ancora inventato un calendario apposito con tutte queste
feste del piffero, da mettere in vendita nei migliori negozi di gadget e da
regalare proprio in occasione di ciascuna di queste feste. Potrebbero
chiamarlo, che so, il calendipocrita.
Oggi
è la festa del lavoro, una delle più antiche, che non è una festa commerciale
ed è una delle poche che il mercato non sia riuscito a fagocitare. Dev'essere
per questo che la vorrebbero cancellare, e anche perché ricorda i diritti
ottenuti con le lotte.
Però
oggi anche questa rischia di diventare una festa ipocrita, perché oggi c'è un
problema: manca il festeggiato. Mi chiedo perché si continui a chiamarla festa
del lavoro e non, invece, festa del disoccupato. Oppure, visto che la funzione
di queste feste è di prendersi per il culo fingendo di prendersi cura, perché
non si istituisca una volta l'anno anche la festa del disoccupato.
Ah,
già: il disoccupato ha poco da festeggiare e soldi da spendere non ne ha.
Quindi, per lui, neanche un giorno l'anno per parlarne: basta la festa del
lavoro per ubriacarci di dati statistici e parole vuote sulla disoccupazione. E
alla fine della giornata, chi non ha lavoro vada a farsi fottere. Se non puoi
spendere, non esisti e il mercato di te non sa che farsene nemmeno per farti a
pezzi e venderti per carne da macello da fare alla brace. E neppure per vendere
ai polli ciocche di capelli bisunti o pezzi ammuffiti dei tuoi vestiti come si
fa al mercato della fede.