Chissà se qualcuno della mia generazione se ne
ricorda. Alla scuola elementare a un certo punto ci misero in mano una specie
di mattonella di spugna e ci consegnarono un punteruolo: dovevamo imparare a
scrivere in Braille.
Non so se si
facesse anche nelle altre scuole; non so nemmeno se lo facevano nelle classi
maschili. Probabilmente pensavano che fosse una cosa da femmine. Lavoro di
precisione, nel quale procedevamo in maniera incerta, come incerto e confuso è
oggi il ricordo. Ma è certo che serviva a farci conoscere un'altra realtà, a
farci sapere che c'erano dei bambini come noi che invece che con gli occhi
vedevano con i polpastrelli e che forse grazie a quelle tavolette bucherellate da
noi in maniera imprecisa quegli altri bambini avrebbero letto e scritto.
Convivenza con la disabilità, senso di solidarietà.
Dev'essere per
questo che stamattina mi ha fatto particolarmente male vedere imbrattati di
vernice i nuovi cartelli turistici scritti in Braille in una delle strade del
barocco catanese: piccoli segnali di civiltà in una città che a fatica tenta di
riemergere da un quindicennio in mano ai barbari, ma che a qualcuno danno
fastidio, tanto fastidio da non esitare a fare uno sfregio alle persone
disabili.
Forse
oppositori, accecati dal loro rancore; forse semplicemente dei cazzoni, resi
ciechi dalla loro ignoranza.
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