giovedì 3 aprile 2014

Una crosta rinnovabile

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Siccome è uscita intorno al primo di aprile e, come tutte le belle notizie uscite intorno al primo di aprile (tipo, l'arresto di Berlusconi o le dimissioni di Renzi; no, quella del cosiddetto garante della Costituzione che riceve il pregiudicato invece era uno scherzo di pessimo gusto, ma non era un pesce d'aprile) rischia di evaporare fra un paio di giorni, sarà meglio prenderla al volo.
La storia è quella dell'operaio siracusano emigrato a Torino e rientrato nella sua città da pensionato, che per anni ha tenuto appese in cucina, credendole due croste, una tela di Paul Gauguin e una di Pierre Bonnard. Valore economico: alcune decine di migliaia di euro. Valore culturale e umano: incommensurabile.
Non mentite: la prima cosa che vi è venuta in mente è la stessa che è venuta in mente a me. Che culo!
Eppure, se la storia è vera - e io spero che lo sia - è l'esatto contrario delle congiunture astrali o della benevolenza di qualche divinità priva di vista: è l'elogio del lavoro, dello studio e della ragione. Perché quell'operaio quei quadri li aveva comprati quarant'anni fa a un'asta di quartiere solo grazie a un'innata sensibilità per l'arte e soprattutto quell'operaio - come molti siciliani - in quegli anni aveva lasciato la Sicilia per andare a lavorare alla Fabbrica e in quella fabbrica che oggi ha cambiato nome e nazionalità, come in tutte le altre fabbriche, a quel tempo i lavoratori - grazie alle loro stesse lotte - avevano dei diritti. C'era, per esempio, quell'animale mitologico chiamato lavoro a tempo indeterminato che ti permetteva di vestirti dignitosamente, comprare qualcosa per arredare la casa, tornare in Sicilia un paio di volte l'anno per le vacanze e principalmente di fare studiare un figlio.
Che in questo caso è il deus ex machina della situazione. Il ragazzo studia Architettura, è appassionato di pittura e con quei due dipinti c'è cresciuto. E' stato grazie ai libri di storia dell'arte che ha capito il valore di quegli olii costretti per anni ad assorbire l'olio di frittura. La sovrintendenza lo aveva preso per un visionario ma lui non s'è perso d'animo e si è rivolto ai carabinieri del Nucleo tutela patrimonio culturale. Aveva ragione lui. In un'intervista ha detto: "Meno male che li ho studiati".
Già, appunto: meno male che li ha studiati, meno male che ha studiato. Grazie ai sacrifici di una famiglia operaia.
La questione vera però è un'altra: lui adesso ha questa fortuna in casa, ma quando si laureerà - come tutti i suoi coetanei colpevoli di vivere in un Paese senza diritti - per lui trovare un lavoro che gli consentirà a sua volta di fare studiare i propri figli sarà come scoprire di avere un Gauguin in cucina. E allora sì: che culo! Ma ho idea che al massimo gli rifileranno una crosta, una patacca rinnovabile di tre mesi in tre mesi.

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