Venticinque, uno e quattordici. Tenete a mente questi numeri, ché vi devo dire una cosa. E, siccome la vado ripetendo da circa 35 anni e più, inascoltata, la scrivo così forse si capisce: potreste, per piacere, non dare per scontato che tutti festeggino il natale dei cattolici? Potreste, per piacere, evitare di farmi gli auguri per natale e capodanno? Potreste, per piacere, evitare di obiettare: “sì, ma capodanno perché?”
Cominciamo dalla fine: io non ho niente contro quel povero cristo (che, comunque, o era schizzato al punto da credersi il figlio di un dio o era un dritto pazzesco tanto da sapere – diciassette secoli prima che lo dicesse Voltaire e diciotto prima di Marx – che la religione serve a prendere per il culo la gente e a farle fare quello che si vuole), ma francamente preferisco festeggiare il mio di compleanno o quello di mio figlio, di mia madre, del mio compagno, di mia sorella e così via. E non vedo perché dovrei festeggiare i duemila e undici anni di un tipo che non è né un mio parente stretto né il mio fidanzato. Tipo che peraltro, ne sono certa, si sarebbe cucito la bocca con il fil di ferro se avesse saputo quanti strati di merda – accumulo di ricchezze spropositate, evasione fiscale, pedofilia, intolleranza e persecuzione verso chi non la pensava come loro, connivenza con la mafia, sostegno politico a un mafioso maniaco sessuale in cambio dell’esenzione dall’Ici e dei soldi alle loro scuole che valgono bene una bestemmia, contestualizzandola s’intende - avrebbero accumulato in questi secoli quelli che parlano in suo nome.
Dunque capodanno si conta dalla sua nascita e io non vedo perché dovrei festeggiarlo. E oltretutto non sopporto il divertimento a comando e le feste “comandate” (che, per essere comandate, quindi imposte, vuol dire che uno ne farebbe volentieri a meno di festeggiarle e lo devono obbligare per legge).
Quanto alle date, 25 è la mia data più importante. Ma è il 25 di aprile, festa della Liberazione dell’Italia dal nazifascismo. Poi c’è l’1, nel senso del primo maggio, festa dei lavoratori che hanno sempre meno da festeggiare in un Paese che li ha fatti schiavi. Infine il 14 luglio, che sarebbe una specie di “festa della ragione”. E la ragione, in quanto tale, è incompatibile con qualunque forma di superstizione fra le quali la suprema è la religione.
Dunque, ricordate bene: 25, 1 e 14. E ora, se volete, giocateli al lotto: terno secco sulla ruota di Palermo.
Ma, mentre aspettate che santa Rosalia vi faccia il miracolo, vi saluto con la definizione che del capodanno dava quell’esempio di lucidità mentale che si chiamava Antonio Gramsci: “tripudio a rime obbligate collettive”.
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