Il negoziante da
cui compravo la frutta circa trent'anni fa aveva un figlio intellettuale.
Matteo aveva fatto la scuola superiore e si era voluto iscrivere
all'università. La mattina presto caricava le cassette di frutta, aiutava il
padre in negozio, faceva le consegne a domicilio e - chissà come faceva -
intanto studiava. E si coltivava. Qualche sera lo incontravi a teatro,
elegante, consapevole e orgoglioso, vestito scuro e sciarpa bianca alla
Fellini, ma suo padre non era contento. "Quello che può guadagnare in un
anno con la laurea - diceva - io lo guadagno in un mese". E ancora il
consumo di frutta non aveva superato il consumo della carne; e ancora con la
laurea trovavi lavoro ed era bellissimo e commovente che anche l'operaio o il
contadino o il fruttarolo potesse avere "il figlio dottore".
Lo sapeva Matteo e lo sapeva anche il papà di
Matteo che, anche se era preoccupato per le sue condizioni economiche, in fondo
era orgoglioso di quel figlio dottore che aveva riscattato tutta la famiglia.
Oggi Matteo la penserebbe diversamente, come la pensano diversamente quelli che
oggi hanno l'età che lui aveva allora. Sì, perché la cosa più terrificante che
ci dice oggi lo Svimez - il Mezzogiorno con le pezze al culo il doppio della
Grecia, i numeri sulla disoccupazione giovanile, le donne che non fanno più
figli non per la carriera ma perché è un lusso che non possono permettersi - è
che i giovani del sud ritengono che non sia necessario e utile studiare: "Si inizia a credere
che studiare non paghi più, alimentando così una spirale di impoverimento del
capitale umano, determinata da emigrazione, lunga permanenza in uno stato di
disoccupazione e scoraggiamento a investire nella formazione avanzata",
spiega lo Svimez.
Praticamente una generazione di Neet: magari
studiano, prendono la laurea triennale, poi la specialistica, un master, vanno
a perfezionarsi all'estero, ma sono tutti psicologicamente Neet. E finirà che
non studieranno più, diventando una generazione di sudditi. E finirà che il
dottore vorrà il figlio almeno operaio.
Anche Matteo, che oggi è dottore dopo aver
vinto le resistenze iperprotettive del padre, sono certa che oggi per il
proprio figlio vorrebbe almeno un posto da operaio.
Ma Matteo - quell'altro, quello che ha finito
di distruggere l'Italia è si è fatto sbeffeggiate dall'Fmi, secondo cui prima
di vent'anni non ci sarà ripresa - non aveva detto, il primo dicembre 2014, che
se a natale ci fosse stato ancora un solo disoccupato si sarebbe dimesso? Di
quale natale parlava? Questo Matteo dovrebbe togliersi il cappello davanti a
quell'altro Matteo e a tutti quelli che continuano a studiare fra mille
difficoltà e dovrebbe fare l'unica cosa buona della sua vita: liberare l'Italia
dalla sua presenza.