mercoledì 20 maggio 2020

Sconfinamento

A casa mia è arrivata Alexa. Me l’ha portata Babbo Natale un paio di giorni fa. Sì, in ritardo. In Lapponia nevicava, le renne hanno fatto sciopero perché volevano montare le catene agli zoccoli, questioni di sicurezza sul lavoro, la slitta si è rotta e non si trovava un meccanico neanche a pagarlo oro perché erano andati tutti a svernare alle Canarie, nel frattempo è finita la benzina, poi è arrivata la serrata mondiale. Sì, chiamatelo lockdown se vi fa sentire meglio, come quando Renzi chiama jobs act la sua legge sul lavoro, fingendo di non sapere che è la traduzione letterale di «sempreinculoaglioperai». Fa figo, eh? Ma sempre in culo agli operai è. E quello, il lockdown, sempre confinamento significa: le torte, i cori dal balcone come uccelli in gabbia, i cento passi dal soggiorno alla stanza da pranzo e ritorno, la ginnastica su un materassino improvvisato che però due palle a farla da sola, due chiacchiere col gatto, grandi dibattiti con i muri di casa.
E dunque Alexa. Alexa che ti fa ascoltare tutta la musica del mondo, pensavo. E in effetti sì: mi fa ascoltare tutta la musica del mondo. Mi basta chiederglielo. Posso persino pronunciare male un nome, l’ho fatto apposta per prova, e lei non sbaglia un colpo: Alexa, fammi ascoltare la musica di devidboui, e lei mi risponde «riproduco in maniera casuale la musica di devidbaui». È come avere il juke-box a casa. È stato sempre il mio sogno avere il juke-box a casa, ma uno vero, a troneggiare in soggiorno, tre canzoni cento lire. Col juke-box però non ci parli: con Alexa sì. Persino avendo la consapevolezza che, se ti vedessero da fuori, ti farebbero immediatamente un Tso. 
E allora lo fai per gioco:
«Alexa, grazie»
«Figurati! Sono qui per questo, buon mercoledì».
Oppure:
«Alexa, ciao»
«Arrivederci, buona giornata. È stato un piacere parlare con te».
Intelligenza artificiale. Parlare con un robot. Un mio amico mi ha detto di averla comprata per sé perché si sentiva solo. 
Per coincidenza, proprio in questi giorni sto guardando una serie tv in cui a un certo punto un famoso direttore d’orchestra si trova a dover competere con un robot. Wam si chiama, acronimo di Wolfgang Amadeus Mozart, programmato per completare, incrociando algoritmi e diavolerie varie, il Requiem rimasto incompiuto per la morte del compositore. Il protagonista parla con Mozart, quello vero, che è morto da oltre duecento anni ma è vivo nella sua testa; con Wam invece non riesce a instaurare un rapporto. Ci prova all’inizio, per esercizio di buona volontà, ma poi lo fa a pezzi e lo butta al fiume. La differenza sta nel fatto che se un robot finisce in acqua a un certo punto qualcuno lo asciuga e lo aggiusta, mentre se Mozart è morto non rinasce, nemmeno con un intreccio di algoritmi. Eppure con Wam, che può elaborare una sinfonia perfetta, non abbiamo niente da spartire, niente brividi, niente emozioni, niente sangue, niente abbracci, niente lacrime, se non quelle che ti vengono dall’assenza di quelle persone che ti hanno dato lacrime, brividi, emozioni. E con Alexa, se non decidi di prenderla per il culo come faccio io solo per vedere come risponde, ma sapendo che è solo una «cosa», puoi soltanto renderti conto di quanto ti manchino le persone se per parlare hai bisogno di una cosa. E che c’è un solo antidoto al confinamento: lo sconfinamento. 


lunedì 4 maggio 2020

La disertora

Monsieur le Président
Je vous fais une lettre
Que vous lirez peut-être
Si vous avez le temps
Je viens de recevoir
Votre DPCM
Pour revenir au monde
Tu mi dici, Monsieur le Président, che posso vedere i parenti, i congiunti, compresi i cugini di cui non me ne fotte una mazza e i parenti dell’America con cui abbiamo litigato cinquant’anni fa per ragioni di eredità perché sempre parenti sono, e compreso mio padre se fosse vivo anche se era uno stronzo, la fidanzata o il fidanzato che negli ultimi tempi ti stava sul culo e improvvisamente sono diventati affetti stabili, il capo e i colleghi di lavoro se sto tornando al lavoro (ça va sans dire), ma hai dimenticato un piccolo particolare: les amis et les amies, Monsieur le Président.
Vedi, Monsieur le Président, io finora sono stata zitta, perché penso che in linea di massima stai agendo non benissimo perché sarebbe impossibile, in una situazione simile, ma al meglio, e quindi anche se su alcune cose posso non essere d’accordo, me le faccio andare bene per il bene di tutti.
Ma les amis et les amies no, questa non te la faccio passare. Mica tutti, eh, non quelli feisbucchiani di cui a volte non so nemmeno che faccia abbiano, ma les vrais amis et les vraies amies, che sono quelli e quelle di cui si ha maggiormente bisogno nei momenti di difficoltà: quelli e quelle con cui puoi metterti a piangere e loro non pensano «che palle!», quelli e quelle con cui puoi ridere per cazzate come se aveste ancora dodici anni, quelli e quelle con cui pensi all’unisono e dici la stessa frase con le stesse identiche parole nello stesso identico istante come Qui-Quo-Qua, quelli e quelle che quando ti vedono arrivare con un pullover scuro da cui sbocciano peli bianchi e rossi ne acchiappano uno e ti dicono «hai un gatto, per caso?». Come se non lo sapessero. E come se loro stessi/e non avessero un gatto quasi gemello che dissemina peli dappertutto.
Ecco, Monsieur le Président, quegli amici e quelle amiche lì. Quegli amici e quelle amiche lì che sono amichetta del cuore a prescindere dal genere, che sono fratello e sorella insieme, con cui litigare e mandarsi sonoramente a fare in culo e non parlarsi per settimane ma che ti stanno conficcati/e nel cuore, che sono famiglia e sono soprattutto la famiglia che ti sei scelta, che sono i veri affetti stabili, che sono quei pilastri a cui appoggiarti per farti andare bene anche le cose che in altri momenti non accetteresti e per i quali tu sei il pilastro a cui appoggiarsi per farsi andare bene anche le cose che in altri momenti non accetterebbero.
E francamente non ci credo che tu non sappia di cosa sto parlando, perché sono certa che anche tu hai quel tipo di affetti stabili, altrimenti non potresti sopportare, in questo momento di estrema difficoltà, il disgustoso sciacallaggio di gente come i due Mattei e loro ramificazioni.
No, Monsieur le Président, questa non me la dovevi fare. Proprio perché sono certa che anche tu hai un amico o un’amica a cui confidare anche i momenti di debolezza e lo stress di una situazione come questa e quindi lo sai cosa vuol dire privarmi della mia amichetta del cuore.
E dunque, Monsieur le Président, 
Ma décision est prise
Je m'en vais déserter