mercoledì 29 gennaio 2014

La certezza del dubbio

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Non so se è successo anche a voi, ma io ho passato gli ultimi trentatré anni della mia vita (e verosimilmente i prossimi trentatré, se camperò così spudoratamente a lungo) a chiedermi ogni giorno e ogni istante se avevo detto (o fatto) la cosa giusta o se invece non avrei dovuto dire (o fare) l'esatto contrario.
Dovrei smetterla di avere dubbi: in fondo il ragazzo è cresciuto bene, ha le spalle quadrate, ho scelto per lui le scuole migliori - quelle che gli dessero la miglior impostazione di vita, prima che la miglior formazione -, credo di avergli insegnato dei valori di quelli che ormai non vanno più di moda, e forse un po' di merito ce l'ho anch'io, anche se ho il sospetto che in gran parte sia merito suo, che sia nato e cresciuto già così, a prescindere da me. Eppure il timore di avere sbagliato tempi e modi resta. Come se fosse la prima volta che lo rimprovero e forse non avrei dovuto.
Sicché ho comprato l'ultimo libro di Michele Serra: per piacere letterario e conforto generazionale, ma anche perché volevo conoscere i pensieri di un padre di sinistra. E ho avuto subito la sensazione di essere stata spiata a lungo nella mia casa: perché Michele Serra sa esattamente dove mio figlio lascia i calzini e come si sfila pullover e maglietta insieme? Era nascosto dietro una tenda mentre lo rimproveravo o cercavo di convincerlo a venire con me da qualche parte? Guardava dal buco della serratura mentre io spargevo parole al vento in direzione di un alieno sordo e muto? Michele Serra è il padre di mio figlio a mia insaputa?
Cazzo, avevo Michele Serra a casa e non ne ho approfittato per fare conversazione? Ma sarò scema!
Per quanto, ho il sospetto che non di letteratura avremmo parlato ma, scuotendo la testa come vecchi, saremmo finiti col dire, pateticamente: "Ai miei tempi...."
Però adesso ho una certezza: cercavo i pensieri di un padre (di sinistra) e ho trovato i pensieri di una madre (di sinistra): "Quante volte invece di mandarti a fare in culo avrei dovuto darti una carezza. Quante volte ti ho dato una carezza e invece avrei dovuto mandarti a fare in culo". Ecco, ora ho la certezza del dubbio.

martedì 28 gennaio 2014

Stay foolish, stay angry


"Time to make a choice". E ti pareva che anche adesso non spuntasse un altro riccone provinciale pronto a dire la sua - in inglese, of course - e a manifestare la sua irriducibile voglia di zerbinaggio nei confronti delle multinazionali e la sua irrefrenabile pulsione a metterla "in the bottom" ai lavoratori. Da choosy a choise il passo è breve, è "tutta una calata": la discesa agli inferi della cancellazione totale dei diritti dei lavoratori cominciata con la legge Biagi di Berlusconi e proseguita con gli altri governi di destra, da Monti a Letta.
Sicché il giovane Davide Serra, renziano della prima ora, montiano dopo la sconfitta di Renzi alle prime primarie, rirenziano dopo il sacco definitivo del Pd da parte della destra e anzi finanziatore elettorale (con i soldi delle Cayman?) dello spregiudicato che fa accordi con il pregiudicato, insomma quello lì, l'amministratore delegato di Algebris, fra un binomio e una radice quadrata, ha decretato che Electrolux Italia deve ridurre gli stipendi ai lavoratori: niente "ideologie da Urss" - ringhia fingendo di cinguettare - e soprattutto "Per salvare lavoro deve abbassare 40% stipendi". Augh. Anzi, no: "Time to make a choice". Che sarebbe, appunto, la benedizione al ricatto dell'azienda ai lavoratori: o vi accontentate di mezzo stipendio o me ne vado in Polonia.
Ma il punto (il dramma) è che se il padrone è naturally bastardo, i colonizzatori svedesi possono permettersi di considerare gli italiani come lavoratori da terzo mondo perché i governi degli ultimi anni (e non oso pensare cosa accadrà con lo sbruffone fiorentino) hanno fatto della distruzione del mondo del lavoro e dei diritti dei lavoratori la ragione stessa della loro esistenza. Con presunte "riforme" del lavoro vendicative - e con la quasi totale complicità dei sindacati - nei confronti dei lavoratori.
Beh, io se dovessi dire qualcosa in inglese a questi lavoratori ricattati pronuncerei ben altre parole: stay foolish, stay angry. Ma molto angry. E fategli il culo.

sabato 25 gennaio 2014

Elpidio?


- Nonno, ti ricordi Enrico?
- Chi, Erminio?
- No, Enrico.
- Ah, Elpidio.
- No, nonno: Enrico, E N R I C O.
- Ah, Enrico! Certo, e non c'è bisogno che strilli: CI SENTO BENISSIMO!

Bilancio di una mattinata, a Catania, passata a raccogliere firme per chiedere l'intitolazione di una strada ad Enrico Berlinguer. A parte i soliti che vedono la bandiera rossa e scappano a gambe levate e gli altri soliti che ritengono il Pd sinonimo di sinistra (e quindi, doverosamente, ci insultano), il risultato è che i giovani non sanno di chi stiamo parlando - mai sentito, mai "coverto" - e gli "anziani", infinita generazione che va dai cinquantenni ai novantenni, fanno fatica a ricordarsene. Ma come è stato possibile che in un ventennio si sia cancellato quasi un secolo di storia? Come se qualcuno avesse fatto a questo Paese un'operazione chirurgica per asportare un tumore. Però hanno tolto la parte sbagliata, quella sana.
Enrico Berlinguer. Glielo devi ripetere tre volte, un po' perché non sentono e un po' perché fingono di non sentire per prendere tempo. Si estraniano, strizzano gli occhi per mettere a fuoco, frugano nella memoria e alla fine lo tirano fuori: Enrico Berlinguer, sì, certo! E alla fine firmano. "Persona onesta" è la motivazione ricorrente (e consolatoria: vuol dire che c'è ancora chi conosce la parola onestà). Qualcuno, scavando nelle macerie dei suoi ricordi, lo rimpiange insieme a una schiera di politici della stessa generazione, praticamente una squadra di calcio, senza distinguere un brocco da un cavallo: comincia con Togliatti, Pertini, Moro, prosegue con De Gasperi, rotola giù nel precipizio fino a Scelba e Craxi. Almeno ha inquadrato il periodo storico. E comunque fa riflettere sul fatto che i politici di oggi facciano rimpiangere i politici di ieri, persino i peggiori.
Firmano gli intellettuali, firmano i compagni che non fanno più politica perché si sono rotti i coglioni della nostra litigiosità, passa qualche grillino e firma senza esitazioni. La prima a firmare, però, è una ragazza con un cognome pieno di X e di Y: giovane, "straniera", italiana nata a Sassuolo e residente a Catania. Forse a salvare l'Italia saranno quelli che ne conoscono la storia: gli italiani di seconda generazione.

mercoledì 22 gennaio 2014

Sisto VI

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Il presunto onorevole Francesco Paolo Sisto, relatore della legge elettorale frutto della profonda sintonia fra il pregiudicato e lo spregiudicato, sostiene che il nome Italicum non va bene. Perché a molti è venuto in mente il parallelismo con la strage dell'Italicus e - sostiene Sisto - questo non va bene perché richiama un momento tragico per la democrazia. Ah, no? Strano, perché ci era sembrato proprio che stessero sterminando milioni di elettori.
Come non bastasse, egocentrico, narciso e autoreferenziale, Sisto rivendica la paternità di questa puttanata proponendo di darle il suo nome, latinizzato come si conviene a un merdellum elettorale à la page. Dunque: Sixtus.
E, giusto per metterci il carico, l'omofobo Sisto - firmatario con i parlamentari del Pdl di un documento contro il riconoscimento delle unioni gay -, al giornalista che gli chiedeva perché Sixtus e non Sixtum (per analogia con le precedenti leggi elettorali), ha risposto, più o meno testuale, fra lo sprezzante e l'ironico: "Perché è neutro e il neutro non mi piace". Degno esemplare italico di maschio/macho difensore di maschio puttaniere, frequentatore di mafiosi ed evasore fiscale.
Fosse per lui, oltre che a tutti quelli ai quali lo hanno appena tolto con questa legge, probabilmente ai gay leverebbe pure il diritto di voto.
Sisto VI il macho rivendica di portare il nome di un papa: qualcuno gli racconti la storia di Sisto IV.

domenica 19 gennaio 2014

"U spertu", il bullo e la profonda sintonia


In Sicilia c'è una parola con due diversi significati. No, certo che non è una cosa strana, ma è che in questo caso non si tratta di piccole sfumature, di nuances semantiche, ma della distinzione fra bene e male, fra bello e brutto, fra bianco e nero, fra freddo e caldo.
A fare la differenza sono la direzione che prendono gli occhi, i movimenti del capo e l'intonazione nel momento in cui viene pronunciata.
Prendete due studenti: uno capisce le spiegazioni al volo, coglie anche i dettagli, fa domande profonde da essere persino imbarazzanti se l'insegnante non è all'altezza; l'altro è di quelli che basano le interrogazioni esclusivamente sui suggerimenti dei compagni e sono convinti che stanno fregando il professore. Il primo con gli insegnanti preparati è in sintonia e instaura un rapporto di sincero affetto; l'altro ha come unico obiettivo quello di (metaforicamente) inchiappettarseli: è il tipo che ti tende un filo di nylon da una parte all'altra per il gusto di farti finire a gambe per aria. Uno è intelligente, l'altro è furbo, ma in dialetto siciliano, per l'uno e per l'altro si dice: è "spertu". Assentendo con la testa e guardando soddisfatti l'interlocutore dritto negli occhi per il primo; con la testa e gli occhi che sfuggono in obliquo per il secondo, quasi a voler indicare qualcosa di nascosto.
La cosa pazzesca è che spesso i professori, pur amando molto il primo, sono irresistibilmente attratti dal secondo: quello che se li vuole inchiappettare. Di solito l'intelligente (che spesso è pure timido) fa fatica a rapportarsi ai compagni; il furbo invece è in profonda sintonia con il gruppo di bulli che tagliano le ruote ai prof, toccano il culo alle ragazze, fregano la merenda al compagno di classe non per fame ma per il gusto di uno sfregio. E però i prof continuano a seguirlo e coccolarlo, non rassegnati al fallimento, all'ambizione di "redimerlo". Lo fanno pure mentre lui, insieme al suo clan, prende a calci e pugni il ragazzino magrolino e con gli occhiali da miope. Rivendicando per sé la patente di "spirtizza", prepotenza e arroganza.
Lo interrogano, non sa un cazzo, gli racconta un sacco di balle sviando il discorso, è ignorante, prepotente, arrogante, sempre con quel sorriso di sprezzante sfottò nei confronti degli insegnanti, culo e camicia con il bullo del rione e loro gli danno un bel voto. Anzi, lo votano.
E poi vi lamentate che la scuola non funziona.

mercoledì 15 gennaio 2014

Pene alternative


Quando questa storia sarà finita e - come si dice - accertate le responsabilità, i giudici che dovranno emettere una sentenza di condanna dovrebbero prevedere delle pene alternative: alternative alle pene alternative già previste dal codice.
Dunque: la storia è quella della scuola di Sulmona ricostruita dopo il terremoto in Abruzzo. E' costata un quinto di quanto non sia stata effettivamente pagata e i lavori di consolidamento delle fondazioni sono stati fatti risparmiando sui "micropali", insomma quei pali di fondazione che - se non ho capito male - dovrebbero servire a consolidare una struttura e sarebbero una soluzione meno ingombrante dei normali pali: ce ne volevano 80, ne hanno usati appena una cinquantina. Come nella famosa barzelletta sui socialisti che girava negli anni Novanta sull'autostrada.
Qui il politico coinvolto è del Pdl. Verrebbe da dire "come sempre", se non fosse che ormai quelli del Pd ci hanno costretti a convertirci al principio della relatività: come quasi sempre. E soprattutto, se nella barzelletta l'autostrada non veniva neppure costruita, in questa tragedia la scuola esiste già e vuol dire centinaia di ragazzi che ogni giorno per almeno cinque ore al giorno stanno seduti su una sedia a tre gambe.
E allora, quando questa storia sarà finita, non mandateli in carcere (e quando mai qualcuno di questi c'è rimasto più di qualche settimana); non metteteli agli arresti domiciliari nelle loro lussuose case costruite solidamente con i soldi delle mazzette e dove certamente troverebbero il modo di comunicare e condurre in porto i loro affari lerci; non affidateli ai servizi sociali: è tempo perso. Condannateli, invece, a trasferire in quella scuola di Sulmona i loro studi professionali e le loro segreterie politiche e a frequentarli obbligatoriamente almeno cinque ore al giorno, sei giorni alla settimana, per nove mesi l'anno, come fanno centinaia di studenti, professori e dipendenti.
Se non muoiono d'infarto per la strizza, al pensiero del Titanic su cui ballano, forse capiscono.

martedì 7 gennaio 2014

Moralizzatori da avanspettacolo


C'è arrivato persino qualche leghista a capire che la cannabis dal punto di vista della pericolosità sociale non è 'sto granché e che andrebbe legalizzata, ma certi giornalisti no, non ce la fanno proprio a non fare i moralizzatori da avanspettacolo.
Prendi la storia del triplice omicidio di Caselle Torinese - moglie, marito e madre di lei assassinati a coltellate -: il figlio e nipote ventinovenne è in vacanza in Val d'Aosta, non riesce a mettersi in contatto con i suoi, chiede a un amico di andare a controllare e quello scopre la strage.
Il primo servizio del tg che guardo io (e mi chiedo sempre più spesso perché lo faccio) ci comunica che il figlio è sotto interrogatorio e che, durante una perquisizione a casa sua, è stata trovata della "droga". Roba che, detta così, senza specificare né il tipo né la quantità, ti fai subito un film: era un narcotrafficante, ha fatto uno sgarbo a un clan rivale e quelli gli hanno massacrato la famiglia. Vendetta trasversale.
Il secondo servizio ci comunica che il figlio è stato interrogato per ore e aggiunge che nel suo appartamento sono stati trovati due grammi di marijuana. Due grammi!
Il terzo servizio conferma che il figlio è stato interrogato per ore, ma precisa che ha un alibi di ferro (certo, niente esclude che sia stato bravo a confezionarlo) e ci tiene a confermare che a casa aveva due grammi di marijuana.
Cioè, era uno che si faceva le canne. Come - secondo le statistiche - circa il 20% dei suoi coetanei. E per questo il 20% dei giovani fra i 20 e i 30 anni sarebbe un potenziale sterminatore delle proprie famiglie?

Ah, già, dimenticavo di dirvi che nel terzo servizio è stato aggiunto un particolare certamente determinante ai fini delle indagini e dell'idea che dovrebbe farsene l'opinione pubblica: il figlio potenziale sterminatore, di cui ci viene mostrata una foto mentre suona la batteria, è un musicista. "Drogato" e musicista, un perfetto profilo criminale. Persino l’ayatollah Ali Khamenei si sta sbellicando dalle risate.

Tradizione


Ora che è finito il delirio diabetico delle lucine, delle canzoncine, delle letterine, dei bacini, dei regalini, lo possiamo dire che queste feste hanno rotto i coglioni?
Sì, va bene, lo so: la mamma ci tiene, la nonna si offende, la zia ci resta male e poi ci sono i bambini, lo facciamo per i bambini. Ah, sì? Lo facciamo per i bambini di educarli (?) all'ipocrisia di abbracciare e sbaciucchiare lontani parenti di cui non ricordano nemmeno il nome e che anzi gli stanno proprio sul culo?
Dicono: è tradizione. Sì, certo, è tradizione. Nel Medio Evo - per dire - lo jus primae noctis era tradizione. Era uno stupro e lo chiamavano tradizione e addirittura legge. E comunque, le tradizioni nei decenni e nei secoli cambiano, si adattano ai tempi, al comune senso del pudore, ai progressi tecnologici, alla congiuntura economica.
Questa no, non c'è verso. E allora vorrei proporre una mediazione, che tenga conto del momento, cioè di un mondo di senza lavoro di tutte le età: se (in questo Paese in particolare) proprio non riuscite a fare a meno di camuffare da afflato religioso il legittimo bisogno di vacanze invernali, potreste almeno evitare il post? Chiarisco: potreste almeno evitare la tradizione dell' "uffa, che palle, domani si torna al lavoro"?
Lo dico per voi, per il vostro bene: perché a chi il lavoro non ce l'ha, quelle stesse palle potrebbero girargli a sentirvi lamentare e potrebbe sentire l'irrefrenabile bisogno di sferrarvi un pugno in faccia.
Io ho ancora qualche ricordo lontano: qualche collega insopportabile, uscire all'alba quando fuori c'è il gelo, un apprendista completamente cretino e refrattario all'apprendimento, il mal di schiena, guardare il sole da una scrivania, dover stringere i denti-deglutire-contare fino a dieci per non mandare affanculo il braccio armato del padrone arrogante, prepotente e presuntuoso.... e però, insieme, un altro collega che è come un fratello, un apprendista che ti ascolta ammirato, i complimenti per un lavoro ben svolto, persino qualche innamoramento.... è la vita.
Se non ve ne foste accorti, il lavoro e la vita sono sinonimi. Non dite "uffa, che palle, domani si torna al lavoro". Direste mai "uffa, che palle, domani si torna alla vita"?

lunedì 6 gennaio 2014

L'aneurisma


La malattia di Pierluigi Bersani mi sembra metafora della vita del suo partito: un corpo appesantito, cuore e cervello in sofferenza, la nausea (e non c'è bisogno di scriverlo con la maiuscola per capire che si tratta di malessere esistenziale), l'aneurisma.
A Bersani - non per buonismo, ma perché mi ostino a volerlo considerare nonostante tutto, per quanto annacquato, un compagno (appellativo che non mi sentirei di attribuire ad altri suoi coevi politici, tipo Miss Appalto coniugale, venuti dal Pci e approdati alla peggior Dc) - auguro che tutto vada per il meglio, che si riprenda e che non abbia conseguenze. L'aneurisma gliel'hanno tolto, ha già visto la moglie e le figlie, ci ha parlato e sembrano tutti segnali positivi.
Impossibile mi sembra per il suo partito: lì l'aneurisma l'hanno fatto segretario. E l'aneurisma è così, ti cova dentro e colpisce alla cieca: dopo il "Fassina chi?", "Avanti il prossimo". Eccolo accontentato. A questo punto, impossibile rimuoverlo, impossibile che si riassorba da solo. Quello che posso augurare al Pd è che esploda presto. Che quelli che lì dentro si sentono ancora di sinistra ma non sono riusciti a liberarsi dall'incantesimo - per abitudine, per ignavia, per convenienza, per vigliaccheria - abbiano un sussulto di dignità. Vuole restare un uomo solo al comando? Che lo accontentino: se l'aneurisma non si può rimuovere, siano loro a rimuoversi dall'aneurisma, per il bene del Paese.

giovedì 2 gennaio 2014

Pagine avvelenate

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Ma di che hanno paura, che tragga ispirazione? Che lo trasformi in arma impropria? Che ne annodi le 532 pagine e le usi per calarsi dalla finestra della cella? Che le avveleni una per una e le faccia avere come gentile omaggio a un boss rivale raccomandandogli un'attenta lettura?
"Aspettiamo di conoscere le motivazioni", come si dice quando vorresti tanto prendere a schiaffoni gli autori di una sentenza ingiusta e invece devi mostrarti politicamente corretto, ma certo se è vera la notizia che al boss gelese Davide Emmanuello, detenuto nel carcere di Ascoli Piceno, hanno vietato di leggere "Il nome della rosa", perché ritenuto "pericoloso", c'è qualcosa che non quadra rispetto alla pretesa funzione educativa o rieducativa della detenzione.
Notizia per di più "corretta" - come il caffè di Gaspare Pisciotta, per restare in tema - da un'altra proibizione: quella di leggere Il Manifesto. Ora, capisco che Gela sia la città delle grandi contraddizioni e incoerenze politiche, ma mi sentirei di escludere il rischio di una folgorazione di Emmanuello sulla via del comunismo e, per conseguenza, della lotta alla mafia. Rischio che per la direzione del carcere sembra essere maggiore della possibilità di farlo restare pervicacemente e ottusamente - cioè con la mente intorpidita dalla malvagità - un capomafia. In questo Paese a testa in giù, evidentemente, si può consentire che Totò Riina ordini dal carcere l'uccisione di Nino Di Matteo, perché in fondo rientra nell'ordine naturale delle cose, ma non che un boss coltivi la "perversione" di leggere libri e giornali.
"...il piú sicuro ma piú difficil mezzo di prevenire i delitti si è di perfezionare l'educazione". E forse sta proprio in quell'aggettivo - "difficile" - la chiave di lettura: più facile lasciarlo marcire nella gattabuia della sua ignoranza e della sua cattiveria, lasciarlo prigioniero dei desideri di vendetta e di rivalsa, tenere la sua mente chiusa in cella, incatenare il cervello.