La malattia di Pierluigi Bersani mi sembra metafora
della vita del suo partito: un corpo appesantito, cuore e cervello in
sofferenza, la nausea (e non c'è bisogno di scriverlo con la maiuscola per
capire che si tratta di malessere esistenziale), l'aneurisma.
A Bersani -
non per buonismo, ma perché mi ostino a volerlo considerare nonostante tutto,
per quanto annacquato, un compagno (appellativo che non mi sentirei di attribuire
ad altri suoi coevi politici, tipo Miss Appalto coniugale, venuti dal Pci e approdati
alla peggior Dc) - auguro che tutto vada per il meglio, che si riprenda e che
non abbia conseguenze. L'aneurisma gliel'hanno tolto, ha già visto la moglie e
le figlie, ci ha parlato e sembrano tutti segnali positivi.
Impossibile mi
sembra per il suo partito: lì l'aneurisma l'hanno fatto segretario. E
l'aneurisma è così, ti cova dentro e colpisce alla cieca: dopo il "Fassina
chi?", "Avanti il prossimo". Eccolo accontentato. A questo
punto, impossibile rimuoverlo, impossibile che si riassorba da solo. Quello che
posso augurare al Pd è che esploda presto. Che quelli che lì dentro si sentono
ancora di sinistra ma non sono riusciti a liberarsi dall'incantesimo - per
abitudine, per ignavia, per convenienza, per vigliaccheria - abbiano un
sussulto di dignità. Vuole restare un uomo solo al comando? Che lo accontentino:
se l'aneurisma non si può rimuovere, siano loro a rimuoversi dall'aneurisma,
per il bene del Paese.
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