È arrivato. Puntuale come una replica, come un aftershock:
la scossa che arriva dopo e può fare più danni della prima. Lo sciacallo da
tastiera, l’avvoltoio del web non ha aspettato neanche che finisse la conta dei
morti e dei feriti del terremoto di Ischia e subito ci ha messo su il suo
carico di veleno, invocando un intervento definitivo del Vesuvio.
Razzismo, dicono. Cretinismo, comincio a sospettare.
Malattia contagiosissima contro la quale non esistono vaccini (e se anche
esistessero poi di certo salterebbe fuori qualcuno che a suon di insulti vuole
convincerci che il vampirismo internautico sempre più diffuso è un’invenzione
di aziende produttrici di vaccini contro il vampirismo internautico).
Nelle stesse ore qualcuno se l’è presa con Egidia Beretta,
la mamma di Vittorio Arrigoni che va in giro per l’Italia, tagliandola in lungo
e in largo e pure in obliquo, pur di non far dimenticare l’umanità di suo
figlio: su Facebook le hanno dato della stronza e l’hanno accusata di voler
stare al centro dell’attenzione.
Da Boldrini in giù, passando per migranti, neri e
disabili, non c’è stato uno che in questa estate non ancora finita non sia
stato preso di mira da qualche vipera, sempre seguendo lo stesso schema:
succede un fatto, l’hater primordiale dà sfogo alle proprie frustrazioni e un
esercito di pecore gli va dietro, come uno sciame sismico, scatenando il
panico, lasciandoti nell’angoscia perenne della prossima scossa, mentre lui si
gode lo spettacolo e gode dei suoi quindici minuti di celebrità.
Ora, il punto secondo me è proprio questo: l’hater in questione,
di solito ignorante - ma di quella ignoranza che Erri De Luca definisce
«volontaria» perché «la conoscenza è considerata un peso sulla coscienza» -, di
solito incazzato con il mondo (e magari di ragioni ne avrebbe, dal non avere un
lavoro al non poter andare in vacanza come gli altri, ma se la prende con il
mondo sbagliato), ha bisogno di sapere che si parli di lui, bene o male poco
importa, purché se ne parli, purché questo certifichi che lui o lei esiste, ma
quando gli altri ne parlano, quando cominciano a insultarlo o a dargli ragione,
quando cominciano a condividere sui social per insultarlo o dargli ragione, quando
i giornali ne traggono spunto per farci un pezzo, quel momento di eccitazione
non gli basta più. Sicché rilancia e rilancia e rilancia, come uno che giochi
d’azzardo o che sia entrato nella spirale della droga.
Da giornalista non dovrei nemmeno pensarlo: le notizie si
danno, non si censurano. Ma siamo sicuri che questo sciame sismico di notizie
da effetto non sia diventato causa di questo stato di terrore, di diffidenza e
di odio reciproco in cui anneghiamo? Forse
è il caso di cominciare a tacere, di smetterla di assecondare l’hater del
momento nella speranza di avere un clic o un like in più; forse, se fingeremo
di non vederli e non sentirli, troveranno qualcosa di più edificante da fare.