martedì 18 novembre 2014

Voltagabbano


Oggi su Facebook si disquisiva sul sesso degli angeli. O meglio: del curriculum, strumento attraverso il quale si dovrebbe trovare il lavoro adeguato alle proprie competenze. Il quale lavoro - come gli angeli e dunque come il loro sesso -, però, non esiste.
Nello specifico, si parlava del plurale di curriculum a partire da un pezzo pubblicato dall'Huffington Post e firmato da tal Umberto Croppi, evidentemente ritenuto da qualcuno un esperto in materia, il quale afferma - con fascistissima certezza - che il plurale di curriculum è curriculum mentre curricula sarebbe una specie di esercizio onanistico praticato da quelli che hanno studiato il latino per far vedere che hanno studiato il latino.
Ora, non c'è dubbio che il signore in questione, diplomato sommelier, con un curriculum da esperto in comunicazione e direttore di un'agenzia pubblicitaria, debba essere davvero un'autorità in materia di ricerca del lavoro se nell'arco della sua vita ha ricoperto incarichi nazionali nei partiti, passando allegramente dall'Msi alla Rete ai Verdi e approdando ad Alemanno e poi a Marino. Però viene puntualmente e doviziosamente smentito dall'Accademia della Crusca che spiega come il plurale di curriculum sia proprio curricula, con buona pace di Croppi.
Ovviamente ciascuno resterà sulle proprie posizioni. Nulla quaestio. In alternativa, si potrebbe ovviare al problema adottando il metodo Cochi e Renato: "Io ho mandato un curriculum, anzi due".
Resta il fatto che per trovare lavoro non serve il curriculum, ma una gran botta di curriculum. A meno che uno non decida di fare di mestiere il voltagabbana. A proposito: bisognerebbe chiedere a Croppi, superesperto in materia, se voltagabbana al maschile fa voltagabbano. E comunque: in vino veritas.

venerdì 14 novembre 2014

U saziu nun cridi o diunu


Ponte? Sì, certo, ponte. Dalle parti mie volevano farne uno che non serviva a niente, se non a far guadagnare soldi alla mafia e a qualche azienda a rischio bancarotta, a mantenere in vita una società fantasma popolata da fancazzisti stipendiati a peso d'oro, ad ammazzare con il buio tutto quello che ci stava sotto e a intralciare il volo di quello che ci stava sopra.
A Palermo ce n'è uno, quello sul fiume Oreto, dove la gente - soprattutto se disoccupata - si suicida a grappoli.
Ma non sembra che siano questi i ponti che preoccupano Ernesto Carbone, presunto brillante ex manager e presunto brillante parlamentare renziano secondo cui lo sciopero generale della Cgil è stato indetto per il 5 dicembre con l'obiettivo di far fare un bel ponte ai lavoratori. Che quindi, se tanto mi dà tanto e se non interpreto male il senso del suo tweet ("Così il ponte è servito", concetto ribadito oggi affermando di non avere intenzione di chiedere scusa per quello che ha scritto), sarebbero dei fannulloni.
Non torno sul fatto che i lavoratori scioperando perdono la paga, perché solo quelli in mala fede fingono di non saperlo, ma mi soffermerei piuttosto su alcuni episodi molto poco onorevoli della vita politica, personale e professionale del fedelissimo del bullo di Palazzo Chigi. A cominciare dal fatto che è stato sotto processo per sostituzione di persona perché si sarebbe intrufolato nel profilo Facebook di una sua ex per ricoprirla di merda. Lui sostiene di essere stato assolto ma della sua assoluzione in rete non c'è traccia. Crediamogli sulla parola.
E dobbiamo credergli sulla parola anche quando giura e spergiura di avere agito "in piena legittimità" per difendersi dall'accusa di essersi dato alla pazza gioia con la carta di credito aziendale quando era presidente e amministratore delegato della società Sin.
Una cosa che difficilmente il giovane renzista potrà smentire - a meno che non si voglia sostenere che il sito della Camera dei deputati è Dagospia o Chi - è quello che si legge nella sua pagina istituzionale e cioè che dal suo insediamento nel marzo 2013 Carbone ha presentato come primo firmatario una sola proposta di legge. Dunque, chi sarebbe il fannullone?
Qualcuno informi Carbone che il giorno dello sciopero generale a protestare contro le politiche del lavoro del governo di destra-destra guidato dal suo amico Matteo Renzi ci saranno anche migliaia di persone che il ponte, malgrado loro, lo fanno 365 giorni l'anno. Si chiamano disoccupati e giornalmente pensano che sarebbe meglio buttarsi giù da un ponte. Ma dubito che capirebbe: come si dice dalle mie parti, "u saziu nun cridi o diunu".

mercoledì 12 novembre 2014

Speriamo che non caghi


Mi sono sentita (e continuo a sentirmi) come Annamaria Franzoni. Cioè mi sono sentita come avrebbe dovuto sentirsi Annamaria Franzoni quando ha deciso di fare un altro figlio: una merda.
Un gatto (come un bambino o un amore) non si sostituisce così, da un giorno all'altro e nemmeno da un secolo all'altro. Io non lo volevo un altro gatto. E io, fra l'altro, non me n'ero sbarazzata: io Ernesto lo avrei tenuto altri 19 anni e altri 19 e poi ancora 19, se le leggi della natura non fossero implacabili. Come Ernesto non ci sarà mai nessun altro (e nemmeno come Alice, che era la sua ombra al punto da seguirlo poco dopo per la disperazione di non vederlo tornare), perché lui era - come dice una mia amica - "il gatto della vita" e il gatto della vita non può che essere uno solo. E' "il": non è "un".
Però il cuore è elastico e ci infili dentro tutta la roba e tutta la gente che vuoi, senza che l'una escluda l'altra. Così, quando un'altra amica mi ha segnalato questo scricciolo con la motivazione che, essendo rosso, si intonava bene alla mia casa (alle mie poltrone, ai miei capelli, alle mie idee), ho pensato che avrebbe potuto farmi cambiare parere rispetto alla mia decisione irremovibile. E poi una casa non è casa senza fusa e quei pochi etti di pelo che da un paio di giorni rispondono al nome di Crodino (in realtà, naturalmente se ne fotte e non risponde affatto o solo quando decide lui) di fusa ne producono una quantità sufficiente ad alimentare una centrale termoelettrica e ne rivendicano a viva voce che manco Maurizio Landini sarebbe capace di fare tanto.
Dunque si ricomincia, o più semplicemente si continua, senza avere eliminato né dimenticato nessuno. Gli altri ricominciano con pappe e pannolini; io, che non ho più l'età, ricomincio con insalate di peli, collant sfilati, impronte dei gommini sul pavimento appena lavato e fili tirati nei vestiti. A lui raccolto dalla strada e a me perennemente in mezzo a una strada faccio un augurio, perché non ne possiamo più di sfiga: in culo alla balena. E speriamo che non caghi. Il gatto, non la balena.

martedì 11 novembre 2014

Manichini


C'è una foto raccapricciante dell'agenzia Ansa sull'alluvione di oggi a Chiavari: sono manichini, trascinati via da un negozio di abbigliamento, che galleggiano per la via a faccia in giù come cadaveri sul pelo del fiume. 

Un'immagine che fa più paura e trasmette più sconforto delle notizie che nel frattempo arrivano sui morti veri.

Perché è l'essenza di un intero Paese: manichini in balìa della piena di una classe dirigente politica e imprenditoriale che punta al profitto, coûte que coûte, anche a costo di disintegrare l'ambiente e uccidere gli esseri viventi. Immagine e concetto tanto più raccapriccianti soprattutto se arrivano negli stessi momenti in cui un ministro del governo dello Sblocca Italia, tal Gian Luca Galletti, di professione uomo di Pieferdinando Casini (quello con il suocero palazzinaro, per capirci) nonché commercialista, a quanto pare senza la minima competenza ambientale o vocazione ambientalista, interviene agli Stati generali contro il dissesto idrogeologico e con tipica ipocrisia democristiana annuncia che "in questo Paese non ci saranno più condoni edilizi, perché sono dei tentati omicidi alla tutela del territorio".

A parte l'incongruità della frase (che vuol dire "omicidi alla tutela del territorio"?), dalla quale infatti molti giornalisti hanno tolto le ultime quattro parole facendo apparire Galletti come una specie di salvatore della Patria, i condoni edilizi non ci saranno più probabilmente perché grazie allo Sblocca Italia si potrà costruire, trivellare, "grandoperare" a piacimento senza bisogno di autorizzazioni preventive e quindi di eventuali sanatorie successive.

Problema risolto "a monte" dunque, mentre a valle - a causa dei manichini che continuano a definire di centrosinistra questo governo e di sinistra il principale partito di questo governo - faremo tutti la fine dei manichini, trascinati dalla corrente, travolti dalle frane, seppelliti dal dissesto idrogeologico ma soprattutto da quello politico e morale.

 

venerdì 7 novembre 2014

In fila per due


A Milano c'è uno che si è inventato un lavoro dal nulla. Talmente bravo - stando, almeno, a quanto ci racconta dal suo sito - da riuscire a firmare una convenzione con la Camera di Commercio e da depositare al Ministero il primo contratto collettivo di lavoro della categoria.
Il suo è un lavoro che nessuno vuole più fare. Anzi, un lavoro che nessuno ha mai voluto fare. Perché - diciamocelo - è una gran rottura di coglioni.
Il tipo è un ultracinquantenne campano iperqualificato al quale, dopo essere stato licenziato, sarebbe toccata la stessa fine di tanti ultracinquantenni iperqualificati: la disoccupazione a vita. Sicché si è inventato questo lavoro: il codista. Cioè fa la coda alle poste, all'ufficio delle entrate, dal medico, ovunque ci sia da fare una fila, al posto degli altri. E ora lo insegna pure con corsi di formazione in giro per l'Italia, al termine dei quali si diventa "codisti certificati" che lui si occupa personalmente di selezionare e inviare alle aziende che ne fanno richiesta.
La prestazione del codista - minimo due ore - si paga 10 euro l'ora Iva esclusa. Non è chiaro dove si timbra il cartellino e come si fa a dimostrare di avere impiegato tre ore e non, per un'iperbolica botta di culo, dieci minuti.
Né si evince se i corsi di formazione prevedono anche imprecazioni e bestemmie o stratagemmi per saltare la fila o se è previsto il diritto di sciopero per condizioni di lavoro disagiate: tipo file troppo lunghe, per esempio.
Quello che invece è chiaro è che anche lui, come ormai la stragrande maggioranza degli italiani con titolo di studio superiore, scrive po' con l'accento. E io - guarda un po' -, pur riconoscendo il giusto merito all'inventiva campana, questo laureato in Scienze della Comunicazione lo rimanderei in fila: in fila per due davanti a un'aula di prima elementare.
O gli direi, come Salvo Ficarra a Valentino Picone nella Repubblica fondata sulla disoccupazione: "Tu laureato in Scienze della Comunicazione? Ma se ti capisco solo io!"
E poi, scusa, come fai ad avere cinquant'anni ed essere laureato in Scienze della Comunicazione? Lunga la fila, eh?

mercoledì 5 novembre 2014

Scarti della società


Io me ne frego se ad essere colpita è Marianna Madia, che mi sta politicamente sul cazzo come tutte le ministre e i ministri del governo Renzi, primo ministro in testa: il punto è un altro. Il punto è che i politici si attaccano su questioni politiche e con argomentazioni politiche e un giornalista o sedicente tale non può permettersi di dare impunemente della pompinara a una ministra della Repubblica ma nemmeno all'ultimo scarto della società e nemmeno se questo è funzionale a sostenere una notizia.
Che non c'è. Che notizia è - per quanto per un giornale di merda - che una giovane donna stia in macchina con il proprio marito in un momento di pausa a mangiare un gelato? Sarebbe stata una notizia se il gelato lo avesse pagato la presidenza del Consiglio dei ministri (come fu per quello che sfrontatamente Renzi offrì al mondo intero a spese di tutti noi); sarebbe stata una notizia (ma solo per i parametri di un giornale di merda) se invece che con il marito fosse stata in macchina con l'amante; sarebbe stata una notizia se invece di leccare un gelato fosse stata sorpresa a sniffare una pista di coca.
Ma il "giornalista" Alfonso Signorini, direttore di un giornale di merda, proprietà (lui e il giornale) di un uomo per il quale le donne sono solo delle troie da pagare, pur di vendere qualche copia in più non ha disdegnato la non notizia e il titolo malizioso, ammiccante, umiliante: "Marianna Madia ci sa fare con il gelato".
Tale e quale a quegli scarti della società - loro sì - malati di arretratezza culturale, nei quali ancora capita di imbattersi nelle vie delle nostre città presunte civilizzate: personaggi - ma, almeno loro, con l'attenuante dell'ignoranza - che sembrano essere usciti da un film di Ciprì e Maresco, voce roca, capelli unti, pancia strabordante, cristi d'oro al petto che ti vedono mentre passeggi con il gelato in mano e ti rivolgono una frase alla Signorini. Personaggi, gli uni e l'altro, che ti provocano soltanto nausea e disgusto, personaggi di cui faremmo volentieri a meno: scarti dell'umanità, appunto. Ma nel caso di Signorini senza alcuna attenuante.

P.S.: Mi aspetterei che l'Ordine dei giornalisti della Lombardia lo prendesse, come merita, a calci in culo. Ma temo che, ancora una volta, come nel caso di Renato Farina, dimostrerà la propria inutilità.

martedì 4 novembre 2014

Tutti insieme appassionatamente


Al liceo mi capitava di fare una versione dal latino o dal greco quasi all'impronta, ho studiato due lingue fin da bambina (quando era già tanto se ne studiavi una sola), ho frequentato la facoltà di Lingue, ho un titolo di traduttore conseguito al Centro culturale francese della mia città. Tutto questo non "per spacchiarmela", come si dice nella lingua della mia regione, ma per dire che non ho niente in contrario all'uso delle lingue straniere e che, anzi, non considero straniere ma sorelle tutte le lingue, morte, vive o malaticce che siano.
Però poi mi arriva un comunicato stampa che nelle prime otto righe contiene le parole brand, shooting, mood, social, selfie wall, location, e mi girano i coglioni. Perché mi viene in mente Matteo Renzi e il suo job act e tutti i suoi prisencolinensinainciusol che lui usa senza saper parlare l'inglese ma per parlare la lingua dell'imbroglio.
E da Renzi a Renzo il passo è breve: "Uscito poi, e camminando di mala voglia, per la prima volta, verso la casa della sua promessa, in mezzo alla stizza, tornava con la mente su quel colloquio; e sempre più lo trovava strano. L'accoglienza fredda e impicciata di don Abbondio, quel suo parlare stentato insieme e impaziente, que' due occhi grigi che, mentre parlava, eran sempre andati scappando qua e là, come se avesser avuto paura d'incontrarsi con le parole che gli uscivan di bocca, quel farsi quasi nuovo del matrimonio così espressamente concertato, e sopra tutto quell'accennar sempre qualche gran cosa, non dicendo mai nulla di chiaro; tutte queste circostanze messe insieme facevan pensare a Renzo che ci fosse sotto un mistero diverso da quello che don Abbondio aveva voluto far credere".
Pure a Renzo - che era un poveraccio ma non era stupido - giravano i coglioni intuendo l'inganno nelle parole di Don Abbondio: "Si piglia gioco di me? - interruppe il giovine. - Che vuol ch'io faccia del suo latinorum?"
Ecco, Renzi, che vuol che noi facciamo del suo inglesorum e dell'inglesorum sotto vuoto spinto di politici improvvisati e giornalisti servi che usano brandelli di una lingua straniera per imbrogliarci? Un brand è un marchio. Esiste la parola in italiano. Come esistono "servizio fotografico", "stato d'animo", "autoscatto", "muro" e piano per il lavoro. Ma per voi piano per il lavoro significa piano per i licenziamenti e per voi esiste - ultimo grido della moda - un'unica categoria chiamata "operatori del lavoro", cioè un tutti insieme appassionatamente padroni e sfruttati.
Mi dispiace per lei, signor finto innovatore, ma io non le permetto - né a lei né a quel concentrato di vacuità rappresentato dai suoi adepti politici e giornalistici - di prendersi gioco di me: per me un padrone è un padrone e un lavoratore è un lavoratore e non possono stare dalla stessa parte. E a farvi fottere, per quanto mi riguarda, vi ci mando in italiano.