Non so se sia
giusto o no pubblicare sui social network le foto dei bambini naufragati
durante la migrazione forzata. Oggi sembra sia questo l'argomento: l'opportunità
della pubblicazione, piuttosto che la morte di quei bambini. Chi lo fa
rivendica il dovere di cronaca, chi non lo fa invoca rispetto.
Io non riesco a guardarle. Le riconosco dal
bordo superiore, come si riconosce una canzone malinconica dalle prime note, e mi
precipito oltre. Mi aiuta la miopia: prima di aver messo a fuoco, le mie dita
hanno già fatto scorrere in giù la pagina. Lo stesso con le immagini di animali
seviziati, alcune talmente raccapriccianti da farti odiare quello che le ha
messe in rete come se fosse egli stesso l'autore del massacro. Non le guardo e
non le condivido: non per indifferenza, ma per proteggerli. Come si fa quando
si coprono con un lenzuolo, per evitare loro anche la violenza dello sguardo,
pietoso o morboso che sia. Del resto, un lenzuolo piccolo piccolo ti stritola
il cuore allo stesso modo perché sai cosa copre anche se non lo vedi.
Credo che la questione - se si debba o meno
mostrare quelle foto sia pure con l'evidente e nobile intento di suscitare
indignazione e raccapriccio - sia mal posta e mal interpretata. Mal posta
perché, nei social come nella vita, genericamente si potrebbe dividere il mondo
in due categorie, i sensibili e gli insensibili, e perché - nei social come
nella vita -, esclusi alcuni incontri irrilevanti e di poco conto, ciascuno di
noi si accompagna ai propri simili. Dunque, per quanto mi riguarda, a persone
politicamente e umanamente sensibili alla questione, la cui sensibilità politica
e umana non ha bisogno di immagini per avere chiaro il livello di crudeltà.
Dalla mia pagina è molto difficile che un qualunque contenuto venga condiviso
con fascisti, leghisti o cattolici sensibili all'infanzia soltanto quando serve
a soddisfare le loro voglie schifose e del resto sono convinta che fascisti,
leghisti e quei cattolici di cui sopra anche vedendole non proverebbero il
minimo sentimento di pietà.
Ma la questione è mal interpretata, credo, per
un altro "dettaglio" che dettaglio non è: che questa diatriba
sull'utilità di pubblicare quelle foto avviene esclusivamente all'interno della
categoria dei "sensibili", alcuni dei quali però non riescono a fare
a meno di dare lezioni per di più urlando e insultando. Sicché si sprecano le
maiuscole, i commenti lividi, le parole sprezzanti. Non contro chi ha fatto sì
che dei corpicini appena un po' più grandi di una bambola galleggiassero senza
vita in un mare spaventosamente grande, ma contro chi cerca di dire come la
pensa e di motivare la scelta di non pubblicare. E il rischio è che - per questa aggressività mal riposta - la nostra
umanità e la nostra indignazione per quei bambini uccisi da politiche di
rifiuto finiscano in fondo al mare, come migranti naufragati.