Chissà se esiste un mercato delle occasioni perdute?
Se ci fosse, frugherei fra le bancarelle dell'usato per trovare
un maestro di chitarra,
molti passi di danza,
mezzo chilo di sfacciataggine,
cento grammi di strafottenza,
un viaggio in Francia zaino in spalla,
un sassofonista,
una musica che gira intorno...
E mi fermo qui perché diventerebbe troppa roba e quando diventa troppa roba le bancarelle non bastano più e devi andare al centro commerciale. Ma al centro commerciale i sogni non li vendono: li uccidono. Dev'essere per questo che ormai sono quasi tutti morti.
lunedì 30 settembre 2013
sabato 28 settembre 2013
Apologia della tazzina sbilenca
Alcuni anni fa commissionai alla mia amica Laura che ha il laboratorio di ceramiche sotto casa mia (si chiama "Maninterra": se vi trovate a Catania, fateci un salto) quattro tazzine da caffè. Quattro, sì, perché il concetto di "servizio" mi ricorda un po' troppo - per restare sull'attualità - quella famosa famiglia Barilla tutta stereotipi sessisti, diabete e ipocrisia: fosse per me, dopo avere sigillato ben bene porte e finestre, ci scaricherei sopra una bombola gigante di insetticida. Prima che lo facciano da sé. Fateci caso: sono gli stessi che a un certo punto massacrano le mamme e i fratellini, poi intervistano il parroco e... "venivano tutte le domeniche a messa". Appunto.
Ma torniamo alle tazzine: quattro, che già rispetto a sei o a dodici è portarsi avanti con il lavoro. Come quando da una famiglia cominciano ad andarsene tutti: qui si parte già in pochi, così non ti fai illusioni. Quattro e, quel che più conta, l'una diversa dall'altra. In un servizio tradizionale per distinguerle devi aspettare che una si sbrecchi un po', acquisisca una propria personalità, e magari poi proprio per questo la metti da parte. Le mie tazzine hanno personalità forti, sono assolutamente fungibili (non ce n'è una che si fa il culo a pulire casa mentre l'altra si gratta i coglioni) e la mattina è un'impresa scegliere, ma è anche divertente: a volte mi faccio guidare dall'umore, ma se sono proprio indecisa chiudo gli occhi, vado a tentoni e ne prendo una al buio.
Non resto mai delusa: sono tutte bellissime. Ce n'è una, però, che mi piace più delle altre: è quella gialla, che è un po' sbilenca. Ed è bella proprio per questo. Come quei frutti che non sono perfettamente rotondi, ma sono buoni in maniera emozionante. Mentre quelli perfetti sono sciapi e insignificanti. E anche piuttosto odiosi con quella loro pretesa di perfezione.
Non so perché mi piace tanto la mia tazzina gialla: forse perché nella mia famiglia io sono sempre stata quella un po' sbilenca (comunista, atea, sbattezzata, allergica a qualsiasi forma di leccamento di culo anche se questo significa fare la fame, "diversamente alta"... scegliete voi: sono "tutta storta", come dice mia madre). O forse perché una famiglia non è famiglia se si è necessariamente prefabbricati, lobotomizzati e possibilmente benedetti da chi non avrebbe alcuna autorità per dare lezioni di morale. Una famiglia è famiglia se si è tutti diversi. E tutti uguali.
giovedì 26 settembre 2013
Benvenuta, onorevole!
E dunque Jenny Arena si ritrovò deputata. Chi è Jenny Arena? E' una studentessa universitaria di Barrafranca, ultima nella lista dei candidati del Pdl in Sicilia orientale nelle elezioni politiche di febbraio 2013. Non una "nominata", verosimilmente, ma un tappabuchi per riempire la lista. Una signora nessuno, come tanti altri ce ne saranno stati in fondo a tutte le liste di tutti i partiti.
Niente di personale nei confronti della signorina, che potrebbe anche essersi candidata perché ci credeva - per quanto una donna nel Pdl o è una cosa contro natura o è correità -, ma è probabile che fra qualche giorno ce la ritroveremo deputata, pur senza avere il quid (condizione che, del resto, in quel partito dà diritto a sedere sulla poltrona di segretario nazionale, tanto poi chi comanda è quell'altro), come tutti gli altri che erano in fondo alla lista. E che già, probabilmente, scalpitano come cavalli in attesa che deputati e senatori del Pdl si dimettano in massa per protestare contro la decadenza del pregiudicato con l'obiettivo di indurre l'altro loro leader a sciogliere le camere, certi (e come dargli torto se l'alternativa è il Pd?) di vincere le elezioni.
A parte il solito Scilipoti, non ancora "focalizzato sulle dimissioni" (ma come cazzo parli?), che verosimilmente si sta focalizzando sul tariffario, non è detto infatti che tutti si siano candidati con quel partito perché "fedelissimi" a B e a un certo punto è probabile che il meccanismo s'inceppi. Dimessi falchi, colombe, pitonesse, maiali, cagnolini e tutta l'arca di Noè, arriverà il momento in cui qualcuno urlerà "avanti il prossimo!" e nessuno risponderà. Potranno metterci dei mesi a scorrere tutto l'elenco dei primi dei non eletti indisponibili a subentrare, ma vedrete che ne resteranno altrettanti - e senza nemmeno le alte motivazioni scilipotiane (è sufficiente uno stipendio) - che "col cazzo che mi dimetto!" Benvenuta in Parlamento, onorevole Arena.
Si parla per assurdo, ça va sans dire.
La suocera e l'anticalcare
Ma dove vivono i pubblicitari? E, soprattutto, li pagano per fare pubblicità al prodotto o per fare passare un modello di società inamovibile, stantio, fermo a cinquant'anni fa? Non posso credere che siano così coglioni in proprio e quindi ne deduco che - in quest'èra glaciale dove il denaro move il sole e l'altre stelle - vengano profumatamente pagati per essere cretini e per rincretinire.
Prendete lo spot radiofonico dell'anticalcare, tre stereotipi in pochi secondi: suocera stronza, nuora che si occupa della casa, figlio inutile che sta a guardare. Dunque: arriva la mamma di lui e - odiosa e insopportabile come da copione - comincia a criticare la pulizia del salotto, poi di un'altra stanza e alla fine ammutolisce davanti a una salle (abitualmente "sale") de bains splendida splendente.
Stereotipo uno: ovviamente a occuparsi delle pulizie di casa non è il figlio perché i pubblicitari evidentemente non sanno che milioni di giovani uomini (pochissimi "causa madre femminista", tutti gli altri per necessità indotta dai vari Erasmus e migrazioni occupazionali) hanno imparato a cavarsela da soli e puliscono casa, fanno la spesa, cucinano egregiamente, lavano, stir... no, sbagliavo esempio, non stirano: vanno in giro tutti ciancicati come un gatto che si è appena battuto per amore. Ma questa è un'altra storia.
Stereotipo due: è la moglie (perché in tanto conservatorismo cattomaschilista immagino di questo si tratti e non di una "concubina" o di una "convivente" - come dicono i giornalisti, con una punta di disprezzo -, altrimenti la suocera non metterebbe piede in quella casa) ad occuparsi delle pulizie di casa, se anche fosse un ingegnere nucleare, e soprattutto a preoccuparsi del giudizio insindacabile della madre di lui, dal cui imprimatur dipenderebbe l'esistenza stessa della coppia.
Stereotipo tre: la suocera è stronza per definizione. Ora, dovete sapere che io ho avuto una suocera da manuale e dunque potrei anche disinteressarmi dell'immagine da megera che emerge dalla pubblicità, ma siccome non sopporto i luoghi comuni e le generalizzazioni ho deciso di prendere le difese delle suocere. Anche per autodifesa personale perché io, suocera con tutti, non lo sono (credo, spero) con le compagne di mio figlio. A me se il letto è disfatto perché è stato usato fino a due minuti prima e promette bene di essere riusato fra due minuti (appena mi sarò tolta dai coglioni) non me ne frega niente e soprattutto non penso che sia stata solo lei a disfarlo e a non rifarlo. Se la scrivania è piena di libri e di fogli sparsi come il grano per la semina, la cosa mi conforta perché so che ci sarà il raccolto. Se per giorni la casa intera non viene rimessa in ordine perché c'è un lavoro da consegnare, non mi sognerei mai di dire che lui deve essere lasciato indisturbato alle sue meditazioni sulle origini del mondo e che lei deve fare la cagna e farsi in quattro per conciliare casa e lavoro. E, anzi, semmai, è lui che rimprovero se non toglie la polvere. Se si lasciano piango come se mi fossi lasciata io; se si amano sono felice come se fossi io ad essere amata.
mercoledì 25 settembre 2013
Apprendisti con esperienza
Una ricerca condotta dalla IMF Business School su incarico del Ministero spagnolo dell'Educazione, Cultura e Sport ci fa sapere che in Spagna gli ultraquarantenni - in particolare casalinghe, precari e disoccupati - hanno deciso di tornare all'università convinti così di trovare lavoro perché là c'è "richiesta di figure con elevata competenza professionale".
Non so se poi, alla prova dei fatti, sarà dimostrato che è così. Quello che so è che in Italia, se hai un curriculum dal quale emergono inequivocabilmente professionalità ed esperienza, è meglio se lo appallottoli, lo butti nel cesso e tiri lo sciacquone più volte per essere certo che non ne resti traccia.
Magari si potrebbe fare una cosa all'incontrario rispetto alla Spagna: tipo presentare un'istanza in carta bollata al Ministero dell'Istruzione Università e Ricerca per farsi cancellare i titoli di studio. Si comincia con la laurea e si vede se si trova un lavoro; poi ci si fa cancellare il diploma di scuola media superiore, a seguire - di tentativo in tentativo - quello di scuola media inferiore, infine quello di scuola elementare. Fino ad ottenere un bel diploma di analfabeta: forse così, con la scusa di formarti, ti assumono a 300 euro e un calcio in culo alla fine di tre mesi di apprendistato.
Ma anche no, perché per assumerti un minimo di esperienza la devi avere. Lo dimostra il cartello fotografato su una vetrina: "Assumiamo apprendisti con esperienza" (e, come sanno bene tutti quelli che passano le giornate a leggere annunci, non è una boutade). Ricordatevene, quando vi chiederanno di fare un esempio di ossimoro. Anzi no: fingete di non capire. Si dovessero accorgere che siete colti... so' cazzi.
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sabato 21 settembre 2013
Sterilizzazione di massa
Ringhiano. Ringhiano tutti come cani rabbiosi.
Ringhia il ministro delle Stigghiole contro Rodotà (che magari, sapendo in quale tana di lupi ci dibattiamo, avrebbe potuto pesare le parole prima di aprire bocca o spiegare subito ciò che intendeva dire): doveva essere incazzato per i fatti suoi, da quando gli hanno tolto la sedia da sotto il culo eliminando dal "nuovo" partito la figura di segretario, come quando - invece di licenziarti - ti fanno il mobbing levandoti la scrivania, e con qualcuno doveva prendersela. Occhio bovino roteante e voce stentorea, ha tuonato: deprecabile che un candidato alla presidenza della Repubblica usi parole simili! Auspicabile, invece, che un candidato alla presidenza della Repubblica evada il fisco, stupri le minorenni e disconosca i poteri dello Stato? Giusto per sapere.
E, siccome da un po' nessuno se lo cagava, anche l'altro portatore di bulbo schizzante, l'aspirante picchiatore fascista, ministro del Monopolio dell'informazione, ha sputacchiato qualcosa di incomprensibile contro Rodotà evocando "cattivi maestri" e "compagni che sbagliano".
Ringhia contro chiunque le capiti a tiro, per contratto e per tenere in esercizio le sue labbra allargate con il forcipe, l'onnipresente erinni televisiva.
Ringhiano, ma fra di loro, tutti contro tutti, i capponi di Renzi: litigano sulle date, sugli orari, sulle poltrone, sulle primarie, sulle secondarie e persino su cosa mangiare a colazione.
Ringhiano come un branco di cani in calore che si contenda una sola cagna. E se la soluzione fosse una campagna di sterilizzazione di massa?
venerdì 20 settembre 2013
Ciccio, Pippo e il marketing
Certo che devono essere disperati: i clienti spariscono, ma stavolta non è colpa della crisi economica. Prodotti scadenti che manco quelli dei cinesi. Di migliorare la qualità non se ne parla - gli manca il know-how, come si dice -, meglio puntare sul marketing. Si sono rivolti a due esperti: Ciccio e Pippo.
Ciccio fa lo "sciorto", il tipo "iosonounocomevoi": si porta la valigia da sé, sale su un'auto normale, quand'è ora di pranzo - pensa te - augura buon pranzo. Pippo è il piacione che in negozio ti dice sempre quello che tu vuoi sentirti dire. Con quel vestito a fiori sembri una balena? E lui: "Ma come la sfila!". Oppure ti fa tutto un discorso sulla bellezza di indossare un capo in cotone o in lino, salvo poi vendertene uno del genere sintetico radioattivo.
Grafico delle vendite in lievissima ascesa, ma non è bastato. Ciccio e Pippo ora si sono inventati due cose nuove: il primo ha fatto togliere le barriere architettoniche dal supermercato, così ci possono entrare anche quelli che finora non avevano accesso. Beh, qualcuno - tipo i gay - entrava pure prima, ma di nascosto, quando serviva a loro. E pure le donne che avevano abortito: se si erano rivolte al devotissimo ginecologo, obiettore in ospedale e avanzatissimo per effetto dell'odore dei soldi in clinica privata intitolata a qualche madonna, non erano scomunicate. Sante donne. Insomma ora lì possono entrare dalla porta principale gli omosessuali, le donne che hanno abortito ma si sono "pentite", e persino quelli che si sono macchiati del grave reato/peccato di fare sciogliere quasi gratis il loro matrimonio da un tribunale civile anziché farsi "solare" un pacco di soldi da giudici benedetti nel nome di dio.
Anche Pippo vorrebbe rendere più accessibile il suo supermercato ormai ridotto a una catapecchia cadente. Forse sarebbe stato meglio chiamare una ruspa e dargli il colpo di grazia, ma Pippo - in arte Civati Giuseppe, parlamentare Pd, che predica bene ma razzola sempre nello stesso pollaio dove la crusca è assicurata - oggi, insieme ad altri "compagni" (gulp!) di partito, ha deciso di scrivere alla clientela in fuga. Per chiederle di partecipare al congresso e iscriversi in massa al partito per cambiarlo dall'interno. Con capolavoro finale di retorica: "Ne vale la pena. Non per noi, non per chi sarà il prossimo segretario, ma per il Partito Democratico. Che è un po' come dire per l'Italia". Minchiata per minchiata, forse sul piano del marketing era più convincente quella di Ciccio: non sono mai stato di destra. Del resto, è la balla che il Pd da quando esiste cerca di propinare ai suoi iscritti. Ma, ora che ci penso: non è che Ciccio si sta candidando alla guida del Pd?
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giovedì 19 settembre 2013
Il sesso degli angeli
Quanta ipocrisia in questo paese che si proclama cattolico e cristiano, che del cristianesimo ha cancellato la solidarietà e del cattolicesimo conserva bigottismo e malvagia intolleranza, scatenando le sue guerre di religione sul sesso degli angeli. O, in questo caso, dei genitori.
Adesso il grande problema di beghine, omofobi, fasciocattolici e sessuofobi è diventata la modulistica del comune di Bologna per iscrivere i bambini a scuola: cancellati padre e madre (di solito in quest'ordine, perché il "nuovo" diritto di famiglia del '75 per alcuni non è mai entrato in vigore), l'idea era di scrivere "genitore 1 e genitore 2" e poi fortunatamente eliminata anche la gerarchia fra primo e secondo, per non fare sentire diversi i bambini figli di coppie gay.
Esponenti del partito che ha un pedofilo come padre nobile hanno subito gridato allo scandalo: non sia mai che la famiglia tradizionale - quella fatta di "capofamiglia", sguattera, due figli e amante di serie - venga messa in discussione da una famiglia basata sull'amore! Metti che poi qualcuno si accorge che stare insieme per amore è più bello che starci per contratto.
Un tempo i bambini che non avevano un genitore venivano pressoché obbligati a chiamare padre o madre (o i raccapriccianti patrigno e matrigna) il nuovo marito o la nuova moglie del genitore "superstite": magari loro il genitore che non c'era più - morto, separato, divorziato - lo avevano conosciuto e non avevano nessuna intenzione di chiamare padre quello venuto appresso, o perché rimpiangevano il primo o perché lo ritenevano un tale pezzo di merda che gli sarebbe sembrato offensivo per quello venuto dopo o semplicemente perché non sentivano alcun bisogno di avere un padre (o una madre). E non era innaturale questo? Non era una tortura dover mentire su un rapporto che non c'era o che comunque era altro? Non era contro natura dover perdere la propria identità, il proprio cognome e presentarsi come figlio di uno che aveva un cognome diverso?
Ma corrotti, corruttibili, puttanieri e pedofili si sono scatenati richiamandosi a quella Costituzione di cui hanno fatto carta da culo e persino alla Dichiarazione universale dei diritti umani. Quanto al diritto dei bambini ad essere semplicemente amati e al diritto dei figli di genitori "diversi" a sentirsi uguali, che vadano a farsi fottere. Quando mai c'è stato spazio per i bambini in questo Paese? E forse il problema sta proprio qui: questo è un Paese vecchio. Anzi, è già un cadavere putrefatto.
lunedì 16 settembre 2013
Asocial network
Beh, ragazze, ve lo devo dire; ho aspettato qualche giorno, per non guastarvi il gioco, ma ora che - grazie a radioserva del terzo millennio - lo sanno cani e porci, non ho più remore: a me questa storia del giochetto della partenza per tot mesi per prevenire il cancro al seno, come diceva qualcuno, "me pare na strunzata".
Primo, perché quando vedi per la prima volta sul profilo Fb di una conoscente la storiella del "vado a Timbuctù per 15 mesi", l'unica cosa che pensi è: "Cazzo, pure lei disoccupata e costretta ad emigrare". Sarà che ho la deformazione disoccupazionale.
Dopo di che ci sono diverse cose che non capisco. Tipo: perché si mandano i messaggi privati alle amiche per invitarle a fare anche loro la stessa cosa. Non l'ho fatto: perché dei pappagalli preferisco l'abbigliamento piuttosto che la coazione a ripetere e perché non sono abituata ad accettare per fede, quindi nemmeno se l'indicazione mi viene dalle compagne femministe.
E non l'ho fatto perché non capisco l'indicazione di non rivelare niente ai maschi. E per quale ragione? Non sarebbe il caso che anche loro si responsabilizzassero? Pensate se, per una volta, invece di essere noi a trascinarli dal medico (loro non ci vanno per paura, noi perché pensiamo che ci sia sempre qualcosa di più importante della nostra salute), fossero loro ad accompagnarci a fare la mammografia e a tenerci la mano mentre quello strumento di tortura confeziona una spremuta di tette. E non capisco perché - anche se è un gioco - farlo in clandestinità quando invece meriterebbe la grancassa e soprattutto perché farlo soltanto fra noi privilegiate: perché non c'è dubbio che, per quanto Facebook sia un mondo sconfinato, sempre fra di noi ce la raccontiamo, sempre quella cerchia ristretta di chi è già sensibilizzato.
E poi ci lamentiamo, noi della sinistra (immagino e spero che la categoria "femminista" si iscriva ancora all'interno della sinistra), che la gente non ci segue. Per seguirci, dovrebbe vederci e sentirci. Mentre noi restiamo trasparenti e mute/i nascoste/i nel nostro scrigno degli asocial network.
Vi ricordate, compagne femministe, quando andavamo nei quartieri popolari a parlare con le donne di contraccezione? I loro mariti ci guardavano con odio, perché forse non coglievano razionalmente il nesso logico, ma a pelle capivano che c'entrava qualcosa con l'emancipazione delle loro donne e con la perdita del potere. Forse dovremmo ricominciare da lì: dal guardare negli occhi le donne che non hanno il tempo di cazzeggiare su Fb. E smetterla con i giochetti del cazzo.
sabato 14 settembre 2013
Sembra ieri
C'è qualcosa che non torna. O meglio: torna sempre, torna ostinatamente, torna ossessivamente, torna ciclicamente e in maniera molesta. Già, i corsi e i ricorsi della storia. E soprattutto, la storia insegna ma non ha scolari.
Qualche anno fa una compagna mi regalò un reperto archeologico, che custodisco con rispetto: non è ancora sotto la tutela della soprintendenza, ma poco ci manca. E' un "volantino" formato tabloid calibrato: Unità delle sinistre Catania (cioè Dp, Pdup, Mls), elezioni amministrative di non so più quando, comunque fine anni Settanta. Candidati e programma. Di tanto in tanto lo tiro fuori e mi diverto (o mi intristisco) a leggere i nomi: a parte qualcuno che se n'è andato senza avere la possibilità di diventare vecchio, ci siamo tutti: operai, disoccupati, studenti nel frattempo diventati psichiatri, dentisti, ingegneri; qualcuno già allora docente universitario e oggi in pensione; gli stessi che oggi si ritrovano alle manifestazioni con la pelle avvizzita e i capelli bianchi, con la differenza che in quella lista ce n'erano di più di quanti ci ritroviamo oggi ai presìdi.
Stavolta ho dato un'occhiata al programma. In sintesi: contro la Dc, per lo sviluppo di Catania, contro la politica di unità nazionale, per l'alternativa di sinistra. Mutatis mutandis, esticazzi. Idem per il programma dettagliato: disoccupazione, condizione femminile, no al nucleare, no alla guerra, no al terrorismo, lotta alla mafia, depenalizzazione delle droghe leggere. E poi Catania: piano regolatore, palazzinari a bestia, sfratti. Dopo di che mi cade l'occhio su una frase: "Il voto del 3 e del 10 giugno, in tutto il Paese (e - scusate la digressione - anche questo mi dà la misura della mia vecchiaia, visto che sono rimasta fra i pochissimi che scrivono ancora Paese con la maiuscola, come quarant'anni fa), ma con evidenza maggiore in Sicilia e a Catania, ha dimostrato chiaramente, con l'arretramento della sinistra e la crescita dell'astensionismo, che esiste una critica politica di massa alla strategia dominante della sinistra, una critica della politica come attività estrema e contrapposta ai bisogni delle masse, una crisi delle forme tradizionali di organizzazione politica e di partecipazione popolare". Pare oggi.
Con una particolarità, che in un altro passaggio si parla della necessità di "elaborare un progetto di lotte e di obiettivi tale da ricostruire una credibile unità della sinistra e coinvolga in questo processo PCI e PSI" (che, evidentemente, a quel tempo non era ancora quella merda che poi sarebbe diventato e forse era meno peggio - cosa oggettivamente difficile - di questo Pd).
Dopo di che qualcuno ha cominciato a pensare di essere unico titolare di quel simbolo (falce e martello su globo stilizzato), qualcuno a proclamarsi più comunista degli altri, qualcun altro a ritenersi più titolato di altri come giudice del tasso di comunismo nel sangue di ciascuno. Più, più, più. Come un giocatore di poker che, di rilancio in rilancio, si spinge nel baratro con le sue stesse mani. E ogni volta che ci si riprova è sempre la stessa storia. Pare ieri, pare oggi. Salvo poi, all'ennesima sconfitta elettorale, farsi la consueta pippa sulla "critica politica di massa alla strategia dominante della sinistra". Scusate, ma quale sarebbe la strategia dominante della sinistra, quella di prendersi a martellate sui coglioni da qui all'eternità?
mercoledì 11 settembre 2013
Presenti assenti
In un mondo di indifferenti, capita che un gesto si tramuti in gesta.
Ero all'ufficio postale stamattina e c'era un uomo con un tampone in una narice, chiaramente per frenare un'emorragia. All'improvviso ha starnutito e in pochi secondi la sua faccia si è riempita di sangue. Da lontano l'ho visto cercare inutilmente qualcosa nelle tasche, mi sono avvicinata, ho tirato fuori dalla mia borsa un pacchetto di fazzolettini di carta e gliene ho dati più della metà, perché mi era chiaro che uno solo non sarebbe stato sufficiente.
Ho dovuto allontanarmi perché smettesse di ringraziarmi. Non faceva che ripetere: "Grazie, signora, lei mi ha salvato la vita".
Dai, non esageriamo! Al più ti ho risolto un problema, ma non ho compiuto nessuna azione eroica. Ho fatto quello che chiunque avrebbe fatto. Chiunque. Se non fosse che la metà di quelli che erano presenti era troppo presa a dialogare con il proprio ombelico per accorgersi di quello che stava succedendo e l'altra metà ha continuato a fare il suo dio, fottendosene.
Non mi gratifica essere considerata una specie di eroina per avere compiuto un gesto qualunque: mi fa tristezza e rabbia. Sarebbe bastato un semplice "grazie" per un gesto semplice, e non ci sarebbe stato bisogno di enfatizzarlo fino ai limiti del teatro. Se soltanto gli altri presenti non fossero stati così assenti.
martedì 10 settembre 2013
Felicità
Ora che è uscita la classifica, tutti lì a meravigliarsi. L'Italia al 45° posto nella graduatoria della felicità? E chi l'avrebbe mai detto?
Hanno messo insieme degli indicatori: salute, assenza di corruzione, aspettative di vita, generosità, libertà di scelta, presenza di qualcuno su cui contare.
Invece - immagino - hanno trovato un welfare che va a puttane, politici che si vendono per niente, disoccupazione: che d'un colpo spazza via salute, aspettative di vita, libertà di scelta (avete presente i voti venduti a trenta euro ciascuno?) e presenza di qualcuno su cui contare se si escludono i familiari più stretti e si include un governo che si accanisce sui sudditi.
Forse sarebbe bastato fare un giro per le strade e guardarci in faccia: siamo tristi, incattiviti, abulici, completamente soli.
E si stupiscono. Ma come - dicono - ? Abbiamo clima, natura, opere d'arte. Ipocriti. Ma l'avete mai visto un depresso? Lo avete mai guardato negli occhi? Un depresso cammina ad occhi bassi, perché ha vergogna delle proprie lacrime, e non le vede le cose belle che lo circondano (ammesso che le cose belle - i monumenti, il paesaggio - non siano state devastate dai politici in cambio di qualche mazzetta), non si accorge del sole, del mare, di un'opera d'arte: vede solo il grigio dei marciapiedi.
Quando sei umiliato, maltrattato, offeso, la bellezza non la vedi più. Neanche con gli occhiali.
venerdì 6 settembre 2013
Arrotondare o arrotolare?
Da bambina ho conosciuto un'insegnante il cui marito (per fortuna, da decenni ex marito e ormai anche ex vivo) era un uomo assolutamente inutile. Lei si sbatteva dalla mattina alla sera: cattedra completa in un istituto superiore, alcune ore in una scuola parificata, lezioni private a casa (e in mezzo, naturalmente, la cura della famiglia, i compiti da correggere, lo studio e l'aggiornamento costante, la lezione da preparare per l'indomani fino all'ultimo giorno di insegnamento).
Doveva arrotondare. Lo Stato italiano è sempre stato patrigno con gli insegnanti. Non so se ci fosse un disegno, perché ad insegnanti scontenti corrispondono studenti scadenti e dunque potenziali schiavi, ma certo è che in questo Paese gli insegnanti sono sempre stati presi a calci nelle gengive. E hanno sempre dovuto arrotondare.
Ma almeno lo facevano con le loro competenze: arrotondavano continuando a fare gli insegnanti.
Oggi invece, durante una trasmissione radiofonica, ho sentito un professore presentarsi così: "Insegno latino e greco nei licei e arrotondo con il videopoker". E scusate se non ce la faccio ad incazzarmi con lui: lo so che un educatore certe cose non dovrebbe farle né dirle, ma quando lo Stato ti paga male e per di più non fa girare l'economia (e dunque la gente si guarda bene dal mandare i figli a ripetizione) fargli la morale mi sembrerebbe un po' come spostare l'obiettivo, il fulcro del discorso, il problema.
Che invece è uno Stato azionista della joint-venture "gioco d'azzardo", dove a mettere il know-how è il più esperto e solido dei soci - quella società con il più alto fatturato in Italia, non so se avete presente - e i profitti vengono dalle tasche dei disperati (stupidi, illusi, incoscienti, tutto quello che volete voi) che tentano di sbarcare il lunario, professori compresi. Sì, il professore di latino e greco non dovrebbe dare il cattivo esempio, ma lo Stato dovrebbe almeno provare un brivido di un istante nel sapere che uno dei suoi dipendenti - e fra quelli più qualificati - è costretto a darsi al vizio per arrotondare.
E forse, a questo punto, farebbe meglio ad arrotolare quel suo ormai inutile diploma di laurea e metterlo dove di solito sta l'ombrello di Altan. Tanto è uguale.
martedì 3 settembre 2013
Bombe intelligenti
No, in fondo non mi ha stupita vedere a Presa diretta che anche Bertinotti partecipa alle feste oscene di gentaccia diventata straricca con metodi osceni. Non solo perché si sapeva già che il cosiddetto compagno Fausto non ha mai disdegnato la mondanità mentre evitava accuratamente le masse, quanto perché il suo pensiero era già tutto sintetizzato da tempo nel suo auspicio di comunismo ridotto al rango di "tendenza culturale", cioè appunto farsi le pippe mentali e aggiungere soltanto un po' di pepe, fra una coppa di champagne e l'altra, a una conversazione fra evasori fiscali, sindacalisti venduti, padroni sfruttatori e oche costrette a farsi gonfiare ad elio per sopportare l'insostenibile pesantezza di quintali di gioielli.
Non mi ha stupita nemmeno che Epifani paghi trentamila euro l'anno come quota di iscrizione a un club per ricconi: del resto l'inciucio è la linea politica del Pd. Mettere dentro tutti, fare affari con tutti, coprire le magagne di tutti (meglio se megaevasori fiscali), dentro e fuori il partito, lavare una mano che poi laverà l'altra. Cancellare i diritti, elevare a sistema il privilegio e lo scambio di favori.
E non mi ha stupita la stronza fascista e piena di soldi che bestemmia la cultura e ha più a cuore il destino delle sue rose che quello dei disoccupati. Se una è stronza è stronza. E ci sta perfettamente che ai disoccupati neghi persino il diritto a deprimersi e quindi a suicidarsi mentre per sé rivendica il diritto a una festa al mese per combattere la depressione.
Mi ha stupita, invece, e direi turbata, la mia capacità di provare un odio profondo che credevo di riservare soltanto al pregiudicato principale azionista del governo, pensando di provare solo disprezzo per alcuni. Invece da ieri sera so che li odio con tutto il mio cuore. Perché nel momento in cui i loro occhi inutili e inespressivi ammiravano mirabolanti (e costosi) fuochi d'artificio, io ho sperato che sulle loro teste vuote invece piovessero i missili dei loro amici imperialisti guerrafondai americani. Sarebbe stato l'unico caso al mondo di bombe intelligenti.
P.S.: Ho molto ammirato il self-control della giornalista che ascoltava le cazzate della signora in rosso. Non so al suo posto quanto avrei resistito senza dirle quanto mi facesse schifo.
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