venerdì 10 dicembre 2010

Berlusconi e berlusconismo

Qualche sera fa, a Otto e mezzo, si parlava di ciò che accadrà il 14 dicembre, nel giorno della fiducia/sfiducia a Berlusconi, e Lilli Gruber intervistava Ludina Barzini. Due giornaliste di grande esperienza, ma che (forse) hanno commesso l’errore di non riflettere una frazione di secondo, che a loro sarebbe bastata per non cadere nella trappola dello “spostamento semantico” delle parole.
Mi spiego: l’intervistatrice chiedeva se il berlusconismo sia in fase di declino e l’intervistata rispondeva parlando di berlusconismo, ma era chiaro che entrambe pensavano a Berlusconi e probabilmente al suo governo. Ora, io credo che dovremmo intenderci e, proprio per non farci fregare, ricordarci sempre di distinguere fra Berlusconi, governo Berlusconi e berlusconismo.
Il primo, cioè l’essere vivente, come tutte le cose umane – parafrasando Giovanni Falcone – ha avuto un inizio e avrà una fine: a occhio e croce fra una decina d’anni. Venti, se vogliamo farci abbindolare dagli imbonitori degli elisir di immortalità. E l’anagrafe sarà la nostra sola salvezza.
Il suo governo, invece, forse il 14 non finirà a causa del berlusconismo uno dei cui ingredienti è la predisposizione a corrompere e farsi corrompere, il pensare solo per sé, come dimostra la prostituzione di questi giorni che vede i deputati esercitare il mestiere piuttosto che esserne utilizzatori finali.
Quanto al berlusconismo, non finirà certamente il 14 e non finirà per un tempo infinito perché più che una corrente filosofica (ma de che?), come potrebbe far supporre il suffisso, è un virus invasivo, uno stato d’animo, una muffa le cui macchie hanno attaccato e intaccato ormai tutta la società. Più che di berlusconismo, chiedendo un prestito a Sciascia, parlerei di berlusconitudine: una cosa che ti porti dentro e fa parte di te. Con la differenza che sicilitudine non ha necessariamente un’accezione negativa. Mentre la berlusconitudine, il berlusconismo, concentra in sé il peggio di tutto e come un tumore ha ormai diffuso le sue metastasi in tutto il corpo del Paese. Perché ciascuno pensa di poter aprire o chiudere la strada sotto casa propria a seconda delle necessità, perché ciascuno salta la fila alla posta, perché ciascuno ritiene che un lavoro si prenda non per concorso ma per raccomandazione, perché ciascuno è certo che pagare le tasse sia un sopruso e non un contributo alla realizzazione di scuole e ospedali e al pagamento degli stipendi di quelli che ci lavorano, perché ciascuno/a si è convinto che per emergere non devi essere bravo ma troia, perché ciascuno – e politici per primi e purtroppo politici di sinistra – non ha dubbi sul fatto che è meglio apparire che essere.
E’ questa la grande e vera vittoria di Berlusconi: lui a un certo punto finirà, il suo governo finirà (forse solo per estinzione del suo capo), ma il berlusconismo gli sopravvivrà, alimentato da tutti quelli che dicono di volerlo combattere ma che in fondo desiderano soltanto vivere di privilegi, ingiustizie, affermazioni personali, protagonismi e schermi televisivi. Per dirla con Gaber: non ho paura di Berlusconi in sé, ho paura di Berlusconi in me. E ha avuto la fortuna di morire prima che Berlusconi fosse in tutti.

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