mercoledì 3 settembre 2014

Incubatore di solitudine


Qualche giorno fa un mio amico, fotografo di altissimo livello, ha manifestato un certo fastidio per tutti quelli che, senza conoscere nemmeno la grammatica di base della fotografia, condividono scatti improvvisati sui social network. Nei fatti, svilendo la professione.
Da un certo punto di vista, ha ragione: anch'io m'incazzo come una jena di fronte a tutti quelli che, non conoscendo la grammatica italiana né le regole base del giornalismo, si improvvisano giornalisti e hanno la presunzione di definirsi tali. Quando hai fatto secoli di gavetta e affrontato mesi di studio "matto e disperatissimo" prima di sostenere gli esami da professionista, il minimo che possa succederti è che ti girino a elica.
Sento però il dovere di fare una piccola difesa d'ufficio per gli improvvisati e inesperti fotografi - forse perché anche a me da qualche tempo è venuta questa fissa (ma non mi sognerei mai di definirmi "fotografo") -, chiedendo al mio amico fotografo di essere un po' più clemente, perché una piccola differenza c'è.
Prendi la luna. La luna bisogna guardarla in due: uno la vede, dice un "guarda!" come se fosse la prima volta nei millenni che la luna appare nel cielo e tutti e due sollevano lo sguardo accompagnando il gesto con un sospiro.
E se nel momento in cui vedi la luna accanto a te non c'è quell'uno che farebbe due? La fotografi e la metti su Facebook. Senza pretese. Soltanto per dire "guarda!" ad altri "uni" che in quel momento sono da soli in strada, al lavoro, al mare, a casa davanti a quell'incubatore di solitudine che è l'asocial network. E hai la sensazione di non essere da solo.
Anche se sai bene che a quegli uni puoi aggiungere tutti gli zeri che vuoi, farli diventare centinaia, migliaia, milioni, ma non saranno mai due.

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