Sulla mia Lettera 32 (la stessa con la quale foravo
le matrici dei volantini) ho battuto la sua tesi di laurea, a occhio e croce
nel mesozoico; insieme a lui - e con altri pazzi come noi, come si è pazzi a
vent'anni - abbiamo ciabattato dentro le nostre espadrillas nella casa di
campagna dei miei nonni; insieme abbiamo creduto di poter cambiare il mondo;
insieme abbiamo cantato allo sfinimento Generale di De Gregori; ci siamo
scambiati confidenze e pene d'amore; ho passato più pomeriggi a casa sua che a
casa mia, dividendomi fra i miei gatti e il suo gatto, e sua madre mi voleva
bene come una figlia; suo padre mi ha regalato uno dei suoi dipinti quando mi
sono sposata; suo fratello quando ho partorito mi ha regalato il fascio di rose
rosse più grande che io abbia mai visto, manco fosse figlio suo.
Io tutte
queste cose quasi non me le ricordavo più: erano conservate da qualche parte.
Poi, mentre leggevo il "libretto d'opera" del cd, è stato come quando
apri un cassetto: le foto in bianco e nero sono sbocciate tutte insieme
all'improvviso.
Il cd è "Cent'anni",
l'ultimo di Giampiero Mazzone, cantautore "pluridecorato" (no, qui
non allegherò il curriculum - si trova in rete -: e non è che posso fare tutto
io!), che è venuto a parlarne qualche giorno fa in occasione del Bukfestival a
Catania, la città dove ha vissuto fin quando non è stato necessario diventare
grandi e spiccare il volo.
Tipologia
particolare di siciliano di scoglio, Giampiero: di quelli che se ne sono andati
e dove stanno stanno bene, ma restano attaccati come le patelle non tanto o non
solo alla loro terra come entità astratta (o come entità "turistica"
di sole, mare, cibo, Etna... e che palle!) ma all'essenza profonda della
Sicilia, di cui vive - e trasmette nei suoi brani - le questioni occupazionali
mai risolte, l'assistenzialismo, l'emigrazione, il cancro della mafia. Non è un
caso se - dopo secoli in terra straniera - alcune delle sue canzoni sono
scritte in dialetto siciliano. E così ci ritrovi Fossati, Lolli, De Andrè,
Guccini, gli anni Settanta insomma, ma anche (e pure questa è tutta
"colpa" degli anni Settanta) le sonorità della musica popolare colta:
quella, per capirci, che fa la differenza fra folclorico e folcloristico, che -
come ci ha insegnato Alberto Mario Cirese - non sono affatto la stessa cosa.
Insomma, io di
musica sul piano tecnico ci capisco poco, anche se appartengo a quella
categoria di persone che morirebbero senza, e quindi il mio non può essere un
giudizio da esperto. Ma visto che - come dice un altro mio amico - non sto
scrivendo una recensione per Ciao2001, che io ci capisca qualcosa o no mi
sembra che sia irrilevante. E, per di più, siccome sto parlando di un
"fratello", non faccio testo.
I testi li fa
lui, il mio amico Giampiero. E quei testi (insieme a quelle note) sono tutti
miei, li sento miei: perché mi restituiscono cent'anni di battaglie, cent'anni
di rabbia, cent'anni della sua triste ironia, cent'anni di amicizia.
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