Molti anni fa scrissi il classico romanzetto
d'esordio - due terzi di autobiografia e un terzo di invenzione, violentemente
shakerati nell'inutile tentativo di depistare quanti si sarebbero dedicati allo
sport voyeristico dell'individuare i personaggi -: di quelli che si scrivono
quando si ha bisogno di curare qualche malattia interiore.
Romanzetto che
sarebbe rimasto nient'altro che il diario di un essere semplicemente complicato
se io non avessi tentato di ingraziarmi protagonisti e lettori. Insomma, ho
scritto quello che gli altri volevano sentirsi dire e che il comune sentire
vuole sentire: ho espresso amore per una casa di cui odio l'impianto
ideologico; ho riconosciuto saggezza a una persona che disprezzo; non ho sputtanato
come avrebbe meritato un padre di merda; mi sono etichettata calcolatrice, su
suggerimento di una scrittrice vera, perché sembra che una buona dose di
cinismo non guasti e se sei stronza vendi di più.
Quindi il
diario - in quanto tale autoconfessione e autocoscienza, e in quanto tale
sincero - è andato a farsi fottere e il romanzetto è rimasto un animale ibrido
con tutti i presupposti per essere sterile. Confesso che ogni volta che ci
ripenso m'incazzo: magari nessun editore avrebbe pubblicato un diario che era
soltanto tale, ma forse lo avrei preferito al non essere io.
Poi mi sono
imbattuta in un libro di Michela Marzano, filosofa, parlamentare Pd (e questo è
già un problema), quarantenne renziana (e questo è un grosso problema):
"Il diritto di essere io", s'intitola ed è una raccolta di saggi prevalentemente
sulle questioni di genere, pubblicati in precedenza su Repubblica. Tesine da
liceali o da laurea triennale, in realtà: ben scritte, ma niente di più, sul
piano dei contenuti, di quanto io e le altre (intendo le mie coetanee e coeve) non
avessimo già appurato da anni con metodo empirico e cioè sulla nostra pelle.
Insomma, sono
stata attratta dal titolo - perché è esattamente quello che rivendico da quel
romanzetto in poi, quando scrivo qualcosa -, ma man mano che leggevo mi sono
resa conto che non mi diceva niente di nuovo. Beh, però - ho pensato - forse
potrà essere utile (ammesso che leggano) per le ventenni. Forse persino per le
trentenni e le quarantenni berlusconianrenziane, convinte che per fare politica
non servano le idee ma avere la figa ed essere delle strafighe da défilé di
moda.
Poi ho capito che era una causa persa quando ho visto
la Boschi a Ballarò, che ride quando parla di disoccupati e dell'Italia dice
che è un Paese "molto bello", come una turista americana di
passaggio. Very nice. E allora rivendico il diritto di essere io e di definire
oca una che considero niente di più che un'oca; mentre come testo di
riferimento più che la Marzano mi viene in mente Donatella Rettore: dammi una
lametta che ti taglio le vene.
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