Allora, signor Fagiolo, ora ti
spiego una delle ragioni per cui l'articolo 18 non andrebbe abolito ma esteso
alle aziende con meno di 15 dipendenti.
Te
lo spiego con un esempio facile facile, così - forse - anche tu lo puoi capire.
Metti
che c'è in una regione piuttosto isolata dell'Italia uno che ha una fabbrica di
vestiti dove impiega un buon numero di lavoratori, mettiamo un centinaio, tutti
fidatissimi (alcuni perché naturalmente lobotomizzati, altri perché - pur
odiandolo - lo temono non avendo un'alternativa), di quelli con cui nelle feste
comandate ci si scambia gli auguri, retribuiti come da contratto nazionale,
formalmente tutto in regola, dove si producono abiti a tutto spiano anche
grazie a una rete di complicità più o meno illegali che gli garantiscono il
monopolio.
Metti
che lo stesso ha anche una piantagione dove si coltiva la pianta di cotone, una
fabbrica dove si ricavano i filamenti, un'altra dove si producono i colori per
tessuti, una dove si fabbricano le forbici, un'altra dove si fanno le macchine
da cucire, una dove si costruiscono le lampadine per illuminare l'azienda di
abbigliamento, un'altra ancora dove si fanno i termosifoni e una dove si fanno
i condizionatori d'aria per riscaldare o rinfrescare l'azienda di
abbigliamento, una dove si fabbricano i cessi per i dipendenti dell'azienda di
abbigliamento, un'altra ancora dove si assemblano i mobili per arredare
l'azienda di abbigliamento e così via. Tutte con meno di quindici dipendenti -
molto meno: a volte soltanto due o tre -, tutte con almeno una macchina da
cucire dove all'occasione confezionare qualche abito, tutte intestate alla
numerosa prole, alla moglie, ai parenti fino all'ultimo grado e ai dipendenti
lobotomizzati del padrone della fabbrica di vestiti. Piccole aziende, che
proprio per questo possono pagare i lavoratori infinitamente meno di quanto non
siano pagati gli altri e che per questo hanno diritto ad incentivi. Che però
finiscono tutti nelle tasche sformate dello stesso padrone.
Il
quale (oltre a sfruttare i dipendenti e a mandargli gli sgherri a minacciarli
quando provano a ribellarsi), se gli gira, perché gli stai sul culo, perché è
un misogino, perché non gliela dai, perché resti incinta, perché fai attività
sindacale, perché sei comunista, perché sei una persona per bene e i suoi
intrallazzi non ti piacciono, per una ragione qualunque, insomma, si può
inventare che l'azienda va male e ti licenzia. E tu non hai strumenti per
difenderti, non hai potere contrattuale, non puoi aspirare alla solidarietà
umana dei tuoi compagni di lavoro perché sarebbe come chiedere loro di
suicidarsi, non puoi obiettare che - trattandosi di un gruppo imprenditoriale e
non di una piccola azienda familiare - ti potrebbe ricollocare nella casa
madre. Così lui licenzia la gente a grappoli, senza giusta causa e senza motivo
se non quello di aumentare i propri profitti sfruttando i dipendenti come
bestie da soma.
Nella
regione lo sanno tutti che lui è il padrone di tutto, ma - per paura, per
ignavia o per complicità - nessuno dice niente. E lui continua a vendere stock
di vestiti scadenti e fuori moda - perché tanto non c'è un altro che li
fabbrichi in tutta la regione - e a prendersi i contributi dello Stato per
sostenere la sua grande impresa con la scusa che servono alle piccole aziende
intestate a parenti stronzi quanto lui e a dipendenti lobotomizzati.
Questa,
caro il mio fagiolone, e senza tenere conto degli altri reati commessi dal
monopolista dell'abbigliamento, si chiama truffa ai danni dello Stato e se tu
fossi veramente uno statista questo non dovresti permetterlo: dovresti
rompergli il giocattolo estendendo l'articolo 18 anche alle aziende con meno di
15 dipendenti. Ma sei un servo dei padroni, un provinciale alla corte dei
marchionni. E un inutile fagiolone.
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