Una rottura di cazzo. Diciamocelo: il gioco del Quindici
di quando eravamo bambini, se uno non aveva pazienza (e io non ne ho mai avuta),
era una rottura di cazzo. Stavi lì ore a cercare di mettere ogni numero al suo
posto, di trovare la quadratura del quadrato, e ti veniva voglia di lanciarlo
quanto più lontano possibile.
Poi ho
cominciato a fare politica. E negli anni ho capito che il Quindici ne era la
quintessenza. Rimpasti di giunta, messe a punto di governo, congressi di
partito, la storia è sempre la stessa: ci sono quei quindici che vanno
piazzati, cambiano posto, ma restano sempre dentro il quadrato. Smuovi i
numeretti e uno che era sindaco te lo ritrovi capo del governo, coglione ma
capo del governo: casella uno; l'otto giù il tre su e alla casella cinque -
segretario del partito - trovi un altro che era stato consigliere comunale;
tredici a destra dieci in alto a sinistra e al nove spunta un assessore; sposti
il sette e sale il quattro e il trombato elettorale è piazzato in un cda di
qualcosa, foss'anche la bocciofila.
Così
all'infinito, a muoversi dentro un quadrato come un leone in gabbia, a fare le
vasche come in una piscina pensando che sia l'oceano. Sempre con gli stessi
numeri e le stesse facce che cambiano soltanto posto e che vorresti lanciare il
più lontano possibile.
Il problema è
che a considerarla una rottura di cazzo siamo rimasti soltanto in quindici.
Tutti gli altri ci sguazzano, prigionieri della loro stessa piscina, illudendosi
di essere liberi come pesci nell'oceano.
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