giovedì 29 dicembre 2011

Crisi da sovrapproduzione

E' possibile che la chiusura del Grande fratello (grazie alla quale per la prima volta nella vita ha vacillato la mia incrollabile fede nell'ateismo), in seguito a calo di ascolti, sia dovuta al fatto che gli italiani sono maturati come sostengono in molti? Io qualche dubbio ce l'ho. Basterebbe scendere per le vie di un centro cittadino in un sabato pomeriggio per vedere microbulli e microtroie, non più che dodicenni, impomatati i primi, bistrate all'inverosimile le seconde, e immaginare che dietro dei bambini che si vestono (e pensano) così ci sono delle madri e dei padri che glielo permettono. O guardare dentro quelle specie di carri funebri full optional che occupano ciascuno lo spazio di tre auto normali: ci sono quelli di prima, improvvisamente cresciuti come in un film, bulli impomatati e troie bistrate, i padri e le madri di quelli in miniatura ai quali hanno trasmesso come unico valore e filosofia di vita l'apparire a tutti i costi e l'arrivare a tutti i costi.
Proprio come gli ha insegnato il Grande fratello. Ma il fatto è che oggi il Grande fratello deve fare i conti con la concorrenza: piccoli e grandi arrampicatori sociali, aspiranti attori e attrici, imbroglioncelli grandi e piccoli, faccendieri e manager "di 'sta ceppa", puttani e puttane, scilipoti e minetti, costruttori tangentari, piscicelli, piccoli pesci che aspirano a diventare pesci grandi, da anni ce li ritroviamo (e non sarei così sicura che ce ne siamo liberati) nelle cronache parlamentari, nei tg della sera non in fascia protetta, nelle pagine politiche dei maggiori quotidiani. E che bisogno c'è del Grande fratello?
La definirei piuttosto - in linea con la situazione depressiva in economia - una crisi da sovrapproduzione. E io invece sono in crisi mistica: se chiude il Grande fratello, dio c'è.

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