lunedì 20 aprile 2015

Colonizzatori


Io un clandestino lo conosco. Come molti di voi, immagino, consapevoli o ignari, che magari con lui condividono il pranzo, una battuta, un momento di tensione, un percorso in auto.
E' a lui che ho pensato ieri dopo la notizia della strage in mare. Ho pensato a lui per contrasto con quello che dicono dei migranti le iene e i maiali che gli vorrebbero affondare i barconi e gongolano sui social network alla notizia di settecento esseri umani morti.
Qualcuno li ha addirittura definiti "colonizzatori", cioè attribuendo a loro tutto il carico di violenza, di schiavitù e di distruzione che una colonizzazione porta con sé.
Il clandestino che conosco io ha l'età dei figli di quelli della mia età, quei ragazzi che dall'Italia sono costretti ad andare via perché non hanno prospettive. Lui, invece, il "colonizzatore", in quanto tale presumo schiavista, è venuto a fare lo schiavo qui da noi, trattato da schiavo da un padrone che è un cocktail di arroganza, prepotenza e ignoranza.
Essere clandestino non gli ha impedito di studiare, di parlare benissimo in italiano e sapere tutto di tutto, di informarsi sull'attualità, di crearsi una professionalità, di conoscere la buona educazione che pratica con naturalezza e signorilità che i selvaggi locali (quelli che si credono signori) neppure si sognano.
Di più: sorride sempre, è sempre disponibile, non s'incazza mai. Eppure motivi ne avrebbe, se non altro perché quando è in giro non si può rilassare un attimo nel timore che lo scoprano, lo buttino in galera e poi chissà cos'altro.
Ho pensato a lui. Ho pensato che avrebbe potuto esserci lui su quel barcone. Ho pensato che potrebbe esserci lui adesso in fondo al mare a formare un unico, indistinto strato di carne umana insieme a tutti gli altri. Ho pensato che per non dire e scrivere certe puttanate sui social basterebbe che ciascuno di noi pensasse al clandestino che conosce, di cui conosce l'umanità e il valore; basterebbe che ciascuno di noi pensasse che lui potrebbe essere il proprio figlio o un cugino o un compagno di studi con cui condividere l'angoscia per il futuro.
Ma poi ho pensato che pensavo male. Perché ciascuno di quelli che vorrebbero vederlo trasformato in cibo per i pesci non ha la più pallida idea di cosa significhi preoccuparsi del futuro proprio o dei propri figli: i primi, i più giovani, perché hanno già trovato un politico a cui svendere la loro dignità o sono già pronti per farsi essi stessi politici con una candidatura blindata; i secondi, i politici, quelli cattolici apostolici e romani, perché hanno già trovato il modo per trasformare una mazzetta in un posto di lavoro da professionista ben remunerato per i loro pargoletti viziati. Quanto al "semplice" senso di umanità, quello nel nostro cattolicissimo Paese è andato a farsi fottere già da un pezzo.

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