Io un clandestino lo conosco. Come molti di voi,
immagino, consapevoli o ignari, che magari con lui condividono il pranzo, una
battuta, un momento di tensione, un percorso in auto.
E' a lui che
ho pensato ieri dopo la notizia della strage in mare. Ho pensato a lui per
contrasto con quello che dicono dei migranti le iene e i maiali che gli
vorrebbero affondare i barconi e gongolano sui social network alla notizia di
settecento esseri umani morti.
Qualcuno li ha
addirittura definiti "colonizzatori", cioè attribuendo a loro tutto
il carico di violenza, di schiavitù e di distruzione che una colonizzazione
porta con sé.
Il clandestino
che conosco io ha l'età dei figli di quelli della mia età, quei ragazzi che
dall'Italia sono costretti ad andare via perché non hanno prospettive. Lui,
invece, il "colonizzatore", in quanto tale presumo schiavista, è
venuto a fare lo schiavo qui da noi, trattato da schiavo da un padrone che è un
cocktail di arroganza, prepotenza e ignoranza.
Essere
clandestino non gli ha impedito di studiare, di parlare benissimo in italiano e
sapere tutto di tutto, di informarsi sull'attualità, di crearsi una
professionalità, di conoscere la buona educazione che pratica con naturalezza e
signorilità che i selvaggi locali (quelli che si credono signori) neppure si
sognano.
Di più: sorride
sempre, è sempre disponibile, non s'incazza mai. Eppure motivi ne avrebbe, se
non altro perché quando è in giro non si può rilassare un attimo nel timore che
lo scoprano, lo buttino in galera e poi chissà cos'altro.
Ho pensato a
lui. Ho pensato che avrebbe potuto esserci lui su quel barcone. Ho pensato che
potrebbe esserci lui adesso in fondo al mare a formare un unico, indistinto
strato di carne umana insieme a tutti gli altri. Ho pensato che per non dire e
scrivere certe puttanate sui social basterebbe che ciascuno di noi pensasse al
clandestino che conosce, di cui conosce l'umanità e il valore; basterebbe che
ciascuno di noi pensasse che lui potrebbe essere il proprio figlio o un cugino
o un compagno di studi con cui condividere l'angoscia per il futuro.
Ma poi ho
pensato che pensavo male. Perché ciascuno di quelli che vorrebbero vederlo
trasformato in cibo per i pesci non ha la più pallida idea di cosa significhi
preoccuparsi del futuro proprio o dei propri figli: i primi, i più giovani,
perché hanno già trovato un politico a cui svendere la loro dignità o sono già
pronti per farsi essi stessi politici con una candidatura blindata; i secondi,
i politici, quelli cattolici apostolici e romani, perché hanno già trovato il
modo per trasformare una mazzetta in un posto di lavoro da professionista ben
remunerato per i loro pargoletti viziati. Quanto al "semplice" senso
di umanità, quello nel nostro cattolicissimo Paese è andato a farsi fottere già
da un pezzo.
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