lunedì 4 maggio 2015

Il manuale del perfetto mobber

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Dicono che sulla sua scrivania avesse il manuale del perfetto mobber. Io non l'ho mai visto, ma c'è da crederci. Era bravissimo: se andavo a fare pipì e lui telefonava al mio interno proprio in quel momento, cominciava a fare una serie di telefonate a rotazione, a quello della stanza accanto, a quello di due stanze più in là, a quello di tre stanze più in là, in meno di tre minuti mobilitava l'intero piano, con voce sempre più concitata, uscivo dal bagno e me li trovavo tutti lì, allarmati, "ti ha cercata il tipo". Niente, non voleva assolutamente niente.
Un giorno in Sicilia orientale c'era stato un terremoto molto forte, proprio mentre ero in redazione, la scrivania andava e veniva per la stanza come una nave nel mare in tempesta, ma io ero lì a fare le telefonate all'Istituto di Geofisica e a tutti quelli che potevano dirmi qualcosa, per preparare la notizia. Mi telefona mentre scrivevo: "La stiamo dando la notizia del terremoto?", con la voce incazzata di quello che ti sta accusando di venire meno ai tuoi doveri. Gli dico che ovviamente sì, anche se ancora ci sono poche certezze, non si conosce nemmeno l'intensità. Doveva avere macchinari molto più sofisticati dell'INGV: "Glielo dico io, me lo ha detto un mio amico: nove gradi sulla scala Richter". E mi si rivolse come se a provocare quel terremoto fossi stata io. Nove gradi? Ma ti rendi conto, coglione, che se fosse stato di nove gradi Richter probabilmente sarebbero sprofondate la Sicilia e la Calabria e saremmo già tutti morti? Non gli ho dato del coglione, l'ho solo pensato, e nemmeno gli ho espresso le mie perplessità, sperando che gli esplodesse sotto il culo e solo a lui un terremoto di quell'intensità, ma per dare una notizia certa sulla magnitudo ho aspettato una fonte un po' più autorevole del suo amico.
Altre volte mi aggrediva ringhiando per farmi un po' di lezioncine di giornalismo e spiegarmi - lui, installatore di condizionatori d'aria - che in caso di accuse bisogna riportare anche il parere dell'accusato (ovviamente se l'accusato era un suo compagno di merende) oppure mi faceva una guerra preventiva per indurmi ad annacquare l'arresto di qualche tangentista: "Come la stiamo dando questa notizia?" A parte che sono io che la sto dando e tu non ci stai mettendo niente di tuo, io comunque le notizie, tutte le notizie, le do seguendo la regola delle cinque W. Ma probabilmente avrebbe preferito che qualche W la omettessi, tipo Why (per quale reato?) o, meglio, Who (chi è il porco che si è intascato la tangente?).
Tre anni è andata avanti questa storia finché non mi hanno mandata via. Con mia somma gratitudine, perché ho visto la gente ammalarsi a grappoli di tumore per le umiliazioni. Poi se l'è presa con il mio collega, che forse ha pagato soltanto per essermi amico, facendogli fare la fine del topo: chiuso in uno sgabuzzino, a non fare niente, se non a fissare le pareti alla ricerca di un buco da cui scappare.
Un'altra collega si era "permessa" di restare incinta e al suo ritorno l'avevano messa a fare la passacarte. Demansionamento si chiama. Quello che oggi è legge grazie al jobs act di Renzi, insieme al "controllo a distanza", una cosa un po' più sofisticata delle telefonate che mi faceva il mio mobber, ma la sostanza resta. Ed è che la gente si ammala e qualche volta muore di mobbing e che invece di fare una legge contro il mobbing se ne fa una per favorirlo e per fare un favore ai padroni. E, anzi, del mobbing non si parla, il mobbing non esiste, come la mafia. Del resto, Renzi stesso è bravissimo a mobbizzare (e anche a fare manganellare, soprattutto se si tratta di una professoressa disarmata) quelli che non gli leccano il culo. Deve avere studiato sullo stesso libro di testo del mio ex capo.

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