Tempo fa conoscevo un tizio che da grande avrebbe
voluto fare l'ingegnere. Però intanto, e per sempre, faceva l'insegnante nella
scuola pubblica. Fra frustrazioni e dedizione, svolgeva il suo lavoro "di
ripiego" con impegno e amore, e con grande disponibilità verso quei
cuccioli smarriti alla ricerca di una strada che forse non troveranno mai
perché c'è chi ha deciso che devono nascere (altrimenti si fa peccato?) ma non
hanno diritto a vivere.
Aveva dato
loro persino il suo numero di telefono - per qualunque dubbio o necessità, anche
personali -, si inventava incontri e dibattiti e, pur di interessarli a
qualcosa e svegliarli dal loro torpore, aveva recuperato un pezzetto di terra
accanto alla sua scuola e, oltre alle materie scientifiche, gli insegnava a
coltivare l'orto. Una volta, con affettuosa ironia, mi raccontò della loro
apprensione per le piante: "Prof, e se piove si rovinano?" Come se le
piante non esistessero proprio per nutrirsi dell'acqua piovana.
Oggi
quell'insegnante (che fa anche il sindacalista) si deve sentire dire che la
scuola in mano ai sindacati va male. E se lo deve sentir dire non ascoltando
volgari discorsi da bar dello sport o da autobus - "è tutta colpa dei
sindacati", lo sento dire da secoli da ignoranti della peggiore specie -,
ma da una ministra della Repubblica esponente di un partito che la vulgata
vorrebbe di sinistra, secondo la quale la scuola pubblica non funziona "se
la lasciamo in mano ai sindacati". Cioè anche in mano a quel prof che
invece di assegnare ai suoi alunni un compito per restarsene in pace a fare le
parole crociate, se ne va in giro a scegliere i semini e si mette a zappettare
con loro per dare vita a nuove vite: quelle delle piante e quelle dei ragazzi.
La buona
scuola non è quella che vorrebbe questo governo da bar dello sport ma è (anche)
quella di tanti insegnanti che s'inventano qualunque cosa pur di non far
sbandare i loro alunni.
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