lunedì 10 gennaio 2011

Sicurezza sul lavoro: in Sicilia condizioni simili al Medio Evo

Questa mattina a Santa Venerina due uomini, un siciliano e un rumeno, sono morti in un'esplosione all'interno di una fabbrica di fuochi di artificio, mentre un altro è rimasto ferito. Vi ripropongo un articolo sulle cosiddette "morti bianche" scritto all'inizio del 2009 per Rinascita. Da allora le cose non sono cambiate: la Sicilia ha il primato degli incidenti e delle morti sul lavoro rispetto al resto d'Italia e la provincia di Catania lo detiene rispetto alle altre dell'Isola. E intanto, sempre in provincia di Catania, qualche giorno fa un operaio è stato licenziato, secondo la Cgil proprio perché aveva denunciato le scarse condizioni di sicurezza all'interno del cantiere in cui lavorava.

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Sembra di entrare in uno di quei sacrari di guerra dove migliaia di nomi e di lapidi che si rincorrono ti levano il fiato e ti danno i brividi e le vertigini. Una sfilza di nomi. Uno, due, tre al giorno, a volte di più. E’ morto Tizio, è morto Caio, Sempronio, è morto questo, è morto quell’altro. Ogni giorno ce n’è almeno uno nel sacrario virtuale di cadutisullavoro, il blog di un sito internet la cui homepage è un teschio pieno di caselline rosse, ciascuna delle quali è un nome, un volto e un’età. C’è anche il milite ignoto: “nome sconosciuto”, c’è scritto. E fa impressione l’età: 31 anni, 24 anni, 19 anni.
Pieno di siciliani. Terra di primati negativi la Sicilia dove – in controtendenza rispetto alla comunque sempre troppo lieve flessione nazionale – il dato dei morti e dei feriti sul lavoro è in crescita. Oltre cento i caduti del 2008 e già circa 10 ne erano stati contati soltanto nelle prime due settimane dell’anno appena entrato: praticamente poco meno di uno al giorno, ma mancavano ancora gli altri di gennaio. L’ultimo in ordine di tempo è Giuseppe Gatì, 23 anni, morto fulminato il 31 gennaio scorso a Campobello di Licata, in provincia di Agrigento, camminando su un filo di luce elettrica scoperto all’interno di un’azienda agricola. Tre giorni prima ne erano morti due a Caltanissetta, sepolti dalla frana di una montagna, e un altro a Gela, al Petrolchimico: Salvatore Vittorioso era dipendente della ditta Ecorigen la cui pericolosità dell’impianto e i turni massacranti erano stati segnalati più volte dai lavoratori. Vittorioso a 34 anni era ancora precario e quel giorno alle otto ore consuete ne aveva aggiunte molte di più: era entrato in fabbrica alle 8, l’esplosione che l’ha ucciso è avvenuta alle 21,30.
L’ultimo rapporto Inail, relativo al 2007 e presentato soltanto a novembre del 2008, parla di 35.490 infortuni verificatisi in Sicilia: il 3,8% di quelli nazionali e il 4% in più rispetto all’anno precedente, con una concentrazione particolare nelle province di Palermo, Catania, Messina e Ragusa. Troppi, considerato che con il suo 37,2% (sempre e ancora soltanto dati del 2007, mentre per il 2009 i sindacati prevedono per l’Isola una perdita di 30.000 posti di lavoro) la Sicilia è fra le 12 regioni europee con il più alto tasso di disoccupazione. E parla già di oltre 46.000 incidenti (il 2% in più rispetto al 2007) e di102 morti, il 70% dei quali nell’industria e nei servizi, il bilancio ancora provvisorio del 2008, che tale resterà dal momento che molti incidenti e decessi non vengono neppure denunciati perché morti e feriti sono precari o clandestini o lavoratori in nero e spariscono nel nulla da dove erano arrivati.
Si racconta che alcuni anni fa un giovane siciliano dal doppio lavoro sia morto da clandestino. Viveva in una delle grandi città dell’Isola consegnando a domicilio le bombole del gas dall’alba fino a sera inoltrata. Ma quello che guadagnava non gli bastava a mantenere la famiglia e di notte arrotondava in nero nei magazzini di un’azienda molto nota. Una di quelle notti il cuore gli si spaccò, lo impacchettarono e lo portarono via in fretta e furia, perché l’inevitabile inchiesta che altrimenti sarebbe stata aperta non infangasse il rispettabile nome di quell’impresa. Ufficialmente quel giovane era morto nel suo letto.
E’ una delle cause di tanto disastro individuate da Pino Lo Bello, responsabile del Dipartimento Salute e Sicurezza della Cgil regionale, che elenca una per una le responsabilità, non facendo sconti a nessuno, neppure al sindacato. Quella di cui abbiamo parlato rientra fra le “responsabilità datoriali: non c’è rispetto per la persona – dice -, né cultura della sicurezza”.
Ma la lista è lunga: comincia dalle Asl, Lo Bello, ricordando che dovrebbero essere “l’autorità sanitaria preposta alla medicina preventiva e alle azioni di repressione”. E invece: si spende “un mare di soldi” ed “è quasi stato cancellato il servizio di Medicina preventiva e del lavoro”. Anche nel piano sanitario regionale (quello, per intenderci, brandendo il quale il presidente della Regione, Raffaele Lombardo, medico e da sempre padrone della Sanità siciliana, gioca a fare Robespierre per ghigliottinare i suoi avversari interni e fare l’en plein di potere), secondo Lo Bello, non si fa neppure cenno a quel 5% della spesa che dovrebbe essere destinato alla Medicina preventiva e del lavoro: che signficherebbe – spiega – “risorse umane, tecnologie e strutture per garantire le visite in almeno il 20% delle aziende. Oggi, infatti, ne viene controllato non più del 5-6% e così molte aziende non si curano di mettersi in regola perché “fanno pari e dispari” e sanno che ci sono “pochissime possibilità di essere sanzionate”.
Fra le responsabilità che il sindacalista individua – e sembra quasi un calembour – ci sono quelle dei responsabili della sicurezza: “spesso lasciati a se stessi, non adeguatamente formati oppure nominati dalla stessa azienda, solo perché lo prevede la legge, e costretti a far finta che sia tutto in regola”. Ricattabili e ricattati e pure loro, come molti altri, condizionati da una totale “assenza del diritto alla vita e alla salubrità dei luoghi di lavoro”. Lo Bello fa l’esempio delle “condizioni intollerabili” di alcuni poli industriali – i petrolchimici o le serriculture – dove si fa un uso elevatissimo di prodotti tossici, ma le malattie professionali non vengono denunciate “se non in minima parte”. I lavoratori più a rischio, e che spesso non appaiono nelle classifiche, sono i precari (ricattatti – spiega – “alla vigilia del contratto di lavoro o costretti a fare molte più ore” con la conseguenza che “il lavoratore può essere così stanco da non avvertire il rischio”) e i dipendenti delle imprese subappaltatrici: il responsabile Sicurezza della Cgil spiega infatti che, se le aziende vincitrici degli appalti “probabilmente rispettano le norme”, così certamente non è per quelle alle quali viene affidato il subappalto: spesso lavori pesanti, svolti in assenza di regole e di tutela sindacale. Lì il sindacato non c’è (e statisticamente, spiega il sindacalista, “dove c’è meno sindacato ci sono più infortuni”) e “il singolo lavoratore” non è in grado di contrastare il datore di lavoro.
Ma Lo Bello si chiede anche se il sindacato in effetti faccia tutto ciò che potrebbe fare: “Siamo un po’ distratti – ammette – mentre invece questo dovrebbe essere uno dei nostri ruoli più importanti e venire finanche prima dell’aspetto salariale”.
Infinite, poi, le responsabilità della Regione. Lo Bello denuncia innanzitutto le carenze degli ispettorati del lavoro, che comunque hanno competenze soltanto relativamente al settore edile: in ogni caso, uno fra i più colpiti. “Ora – dice – hanno annunciato che ci saranno 150 nuovi ispettori in più, ma ancora siamo solo agli annunci”. E ci si mettono pure i ritardi e slittamenti continui nel fissare la data di presentazione, da parte dei datori di lavoro, dei documenti di valutazione del rischio: “Prima – spiega – doveva essere a gennaio, ora hanno detto entro giugno, ma c’è il pericolo che slitti ancora: sembra che non ci sia una volontà politica vera, ma soltanto lacrime di coccodrillo disseminate a destra e a manca”.
Inoltre, a causa della mancanza di prevenzione, secondo il sindacalista, c’è “un aggravio di costi sanitari” dovuto ai numerosi ricoveri ospedalieri e, come se non bastasse, non si fa neppure la riabilitazione tanto che l’Inail ha dovuto sostituirsi alle strutture sanitarie e attivare quattro servizi per ridurre i tempi dell’inabilità temporanea: “In Sicilia – chiarisce Lo Bello – abbiamo l’inabilità temporanea più lunga di tutta Italia” che comporta aggravio di costi e una lesione ulteriore del diritto al lavoro. “Ogni anno – denuncia – si perdono un milione e seicentomila giornate lavorative e questo incide complessivamente sulle attività produttive siciliane”.
Poi c’è la questione del lavoro nero e irregolare, dove la sicurezza te la sogni. Secondo i dati del 2007, diffusi lo scorso anno, le aziende fuori dalla legge – che sfruttano ragazzini e immigrati clandestini – risultano oltre 10.500. Ma il fatto è che l’ispettorato del lavoro, con troppo pochi ispettori, ne ha controllate soltanto poco meno di 17.500 sulle 480.000 presenti in Sicilia. Esclusi i cantieri edili. E la regione, secondo Lo Bello, non fa funzionare i comitati paritetici per l’emersione e “non batte un colpo” perché “chi governa non ha esperienza sindacale o sociale né sensibilità: tutto langue in una condizione vicina al Medio Evo”.
E infatti, lamenta ancora il sindacalista, “la formazione professionale doveva avere una parte, da noi sollecitata, di formazione per la sicurezza”. Il sindacato chiedeva che fosse almeno il 10% a cui aggiungere quella specifica mirata alla qualifica del lavoratore. Invece se ne fanno soltanto “cenni”.
Deserto assoluto anche per quanto riguarda gli aspetti normativi. La Sicilia, che agita tanto la sua autonomia come una clava, non è stata capace di varare una propria legge. Il responsabile Sicurezza della Cgil sostiene che si sarebbe dovuto scrivere da tempo una legge integrativa del testo unico per regolamentare l’apprendistato, aumentare la formazione, incentivare la rottamazione di impianti “obsoleti, spesso causa di infortuni”: questi invece “fanno solo annunci, non hanno nessuna competenza, non comparano quello che fanno le altre regioni”. E tutto questo “nel dramma di un quadro politico desolante, in cui la rappresentanza sociale è venuta meno, il senso di appartenenza dei lavoratori è venuto meno: votano per quelli che promettono soluzioni clientelari o personalistiche e così viene meno il principio dell’unità dei lavoratori”.
Solo qualche settimana fa, l’assessorato regionale ha comunicato che “sta mettendo a punto un disegno di legge sulla sicurezza sul lavoro, che dovrebbe essere sottoposto all’approvazione dell’Assemblea Regionale Siciliana entro il 2009”. Piano piano, senza fretta. E in questi dieci mesi i lavoratori continueranno a cadere a grappoli.

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