sabato 8 gennaio 2011

La profesión más hermosa del mundo

Riporto qualche stralcio del discorso sul giornalismo – il mestiere più bello del mondo - tenuto da Gabriel Garcia Marquez nel 1996 all’Assemblea della Società interamericana della Stampa e contenuto nel volume “Non sono venuto a far discorsi”, pubblicato in Italia da Mondadori (sì, lo so, non ditemi niente, non infierite: ho già sofferto abbastanza all’idea di dare dei soldi al presidente onorario dei pedofili e degli “eroi”).
Dedicato a quelli che pensano che per fare i giornalisti si debba soltanto – come dicono loro – “stare al desk”; a quelli che credono che per essere giornalisti non sia necessario intervistare una persona guardandola in faccia; a quelli che ritengono che prima di andare a una conferenza stampa o a un convegno sia superfluo informarsi sull’argomento; a quelli per i quali essere giornalisti significa apparire in televisione; a quelli convinti di essere automaticamente giornalisti perché hanno studiato Scienza della comunicazione; a quelli certi che per fare i giornalisti non sia indispensabile saper scrivere in Italiano; a quelli che i giornali li scrivono, ma non li leggono; a quelli che vogliono fare i giornalisti per arricchirsi; a quelli che nelle interviste non fanno domande, ma riportano risposte; a quei sedicenti giornalisti per i quali “servizio” è sinonimo di fellatio (al padrone); a quelli che dicono “noi giornalisti amiamo il potere” e se ne vantano; a quelli che dicono “noi giornalisti siamo come le puttane, ma vendiamo la parte più bella del nostro corpo e cioè il cervello” e non se ne vergognano; a quelli secondo i quali essere giornalisti vuol dire camminare a 90° gradi.... o forse no, forse è meglio dedicarlo a quei pochi (pochissimi) che capirebbero: quelli che questo mestiere lo amano talmente tanto da farlo gratis, riconoscendo la sua grandissima funzione democratica e di cane da guardia del potere.
Garcia Marquez parla della Colombia, ma è come se parlasse dell’Italia:
“....è questa la ragione per cui sono tanto imprecise le motivazioni fornite dalla maggior parte degli studenti per spiegare la loro decisione di studiare giornalismo....Soltanto uno ha attribuito la propria preferenza al fatto che la sua passione per informare superava il suo interesse a essere informato”.
“Una cinquantina di anni fa, quando la stampa colombiana era all’avanguardia in America latina, non c’erano scuole di giornalismo. Il mestiere si imparava nelle redazioni, nelle tipografie, nel bar di fronte...L’ingresso nella corporazione non prevedeva nessuna condizione che non fosse il desiderio di essere giornalista, ma perfino i figli dei proprietari di giornali...dovevano dimostrare le loro attitudini nella pratica....L’esperienza aveva dimostrato che tutto era facile da imparare nella pratica per chi possedesse l’istinto, la sensibilità e la resistenza da giornalista. L’esercizio stesso del mestiere imponeva la necessità di formarsi una base culturale, e lo stesso ambiente di lavoro si occupava di alimentarla. La lettura era un vizio professionale”.
“Da allora, qualcosa è cambiato. In Colombia se ne vanno a spasso circa ventisettemila tesserini da giornalista, che però in massima parte...servono come salvacondotto per ottenere favori dalle istituzioni, o per non fare le code, o per entrare gratis negli stadi...”
“Prima che fosse inventato il registratore, il mestiere si esercitava bene con tre strumenti indispensabili che in realtà erano uno solo: il blocco per gli appunti, un’etica a tutta prova e un paio di orecchie che i cronisti usavano ancora per ascoltare ciò che veniva loro detto....In realtà, l’utilizzo professionale ed etico del registratore è ancora da inventare...Il registratore sente ma non ascolta, registra ma non pensa, è fedele ma non ha cuore, e alla fine dei conti la sua versione letterale non sarà altrettanto affidabile di quella di chi fa attenzione alle parole vive dell’interlocutore, le valuta con la sua intelligenza e le giudica con la sua morale....”
“Nelle università colombiane ci sono quattordici lauree e due master in Scienze delle comunicazioni. Questo conferma una crescente preoccupazione di grande portata, però dà anche l’impressione di un pantano accademico che soddisfa molte delle necessità attuali dell’insegnamento, ma non le due più importanti: la creatività e la pratica....”
...il giornalismo è una passione insaziabile che può essere digerita e umanizzata soltanto nel confronto crudo con la realtà. Nessuno che non l’abbia sofferta può concepire questa schiavitù che viene alimentata dagli imprevisti della vita. Nessuno che non l’abbia vissuto può nemmeno immaginare cosa sia il palpito sovrannaturale della notizia, l’orgasmo dell’esclusiva, la demolizione morale del fallimento. Nessuno che non sia nato per il giornalismo e non sia pronto a morire per esso potrebbe resistere in una professione così incomprensibile e vorace, il cui lavoro finisce dopo ogni notizia, come se fosse per sempre, e non concede un attimo di pace fin quando non ricomincia, con più entusiasmo che mai, il minuto dopo”.

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