E’ partito già da qualche mese ma chissà perché (forse per “legittimo impedimento” di uno dei diretti interessati?) lo hanno presentato soltanto un paio di giorni fa. Però non si sono fatti mancare niente: conferenza stampa, presenza di autorità, interviste, gran battage…
Si tratta del progetto intitolato “Formazione e lavoro: nuove prospettive di vita”, finanziato dal Fondo sociale europeo tramite l’assessorato regionale alla Famiglia e rivolto ai carcerati di Catania e Giarre che impareranno un mestiere e poi faranno anche pratica nelle imprese: e, siccome l’Italiano non va più di moda, lo chiamano “work experience”.
Tutto bello: l’obiettivo di svuotare le carceri sovraffollate, quello di dare un’opportunità ai detenuti una volta fuori, l’impegno delle imprese a fornire questo supporto concreto di esperienza dopo l’attività didattica. Peccato che il presidente della cooperativa Città del sole (capofila del consorzio di imprese che gestisce il progetto), ideatore di questa attività, sia l’avvocato Nino Novello intervistato oggi dalla Rai come salvatore della patria (almeno di quella penitenziaria) e frequentatore fino a ieri delle patrie galere – per poco, in realtà, perché come da copione si è fatto venire un “malore” e lo hanno messo ai domiciliari e da poco, immagino, definitivamente libero per scadenza dei termini di custodia cautelare – per essere stato coinvolto l’estate scorsa nell’inchiesta della procura di Catania sulla cosiddetta cricca dei servizi sociali, quelli cioè che si spartivano in maniera non proprio legale gli appalti del comune. E, a guardare bene i nomi delle imprese partner del progetto carcerario, ne salta fuori almeno un altro: quello di Salvo Falletta, presidente del consorzio “Lavoro solidale” specializzato nell’inserimento lavorativo di persone svantaggiate, anch’egli arrestato nei mesi scorsi nell’ambito della stessa inchiesta insieme a una quindicina di persone accusate a vario titolo di truffa ai danni dello Stato e della Regione siciliana, peculato, abuso d'ufficio, turbativa d'asta, frode in forniture pubbliche, falso materiale in atto pubblico, falso ideologico, interruzione di pubblico servizio e chissà che altro.
Ora, capisco che possano essersi fatta un’esperienza diretta e quindi – mi si dirà – chi meglio di loro avrebbe potuto immedesimarsi nella necessità del reinserimento lavorativo dei detenuti, ma mi chiedo se a Bruxelles o ovunque sia (non mi aspetto che accada alla fonte, cioè a Palermo) non dovrebbe esserci qualcuno che prima di concedere i finanziamenti chieda “referenze” sui destinatari. Scoprirebbero, per esempio – a quanto riferiscono alcuni dipendenti che però hanno paura e vogliono restare anonimi -, che la cooperativa deve la sua fortuna e i suoi appalti da un capo all’altro della Sicilia a “clientelismo, sfruttamento dei lavoratori, arroganza” e molto altro, compresi ovviamente gli stretti rapporti con la politica; e avrebbero scoperto – anche se il processo non è ancora cominciato e pur volendo esercitare tutto il garantismo del mondo – che forse sarebbe stato meglio sospendere l’assegnazione del finanziamento dal momento che alcuni dei destinatari erano coinvolti in una storia di soldi fottuti alla gente (perché non bisognerebbe mai dimenticare che il denaro del comune è dei cittadini) per di più privando dei servizi persone disabili o anziane. Magari gli sarebbe venuto il dubbio che forse quei soldi più che al reinserimento dei detenuti sarebbero serviti all’arricchimento di chi ha già lucrato sui più deboli. E magari anche i giornalisti avrebbero dovuto riflettere un attimo sull’opportunità delle loro interviste. Come se a Firenze, invece dei parenti delle vittime, avessero intervistato Pacciani.
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