domenica 23 gennaio 2011

Qualunquemente, neorealismo soft

Io non lo so se era vero quel pianto. Ricordate? Antonio Albanese a “Che tempo che fa”, primavera 2008: ha appena smesso di impersonare Cetto Laqualunque, annuncia la vittoria di Berlusconi e di quelli come Cetto, si toglie la parrucca, ridiventa Antonio e piange. Hanno vinto loro e tutto quello che ho fatto non è servito a niente. Non lo so se quel pianto era vero o faceva parte del copione, so che rimasi sbigottita e so che quel pianto – sotto forma di risata e di esorcismo – è tornato nel film di Albanese, “Qualunquemente”, nelle sale cinematografiche in questi giorni.
Cemento e “pilu”, corruzione, criminalità organizzata, evasione fiscale, abusivismo edilizio, illegalità diffusa, arroganza, denaro e volgarità a profusione, donne talmente oggetto da essere chiamate “Cosa”: c’è tutto questo nel piccolo politico di provincia descritto da Albanese, un piccolo politico di provincia che somiglia maledettamente al piccolo politico al governo del Paese e a tutti i suoi zerbini.
Non ho riso molto e non ho sentito molte risate in sala: forse perché c’erano molte battute già note a chi segue abitualmente Albanese da Fazio, molto più probabilmente perché è inevitabile rapportare tutto alla realtà ed è inevitabile che ti venga da piangere. A me è venuto da piangere al pensiero di questa comicità che dovrebbe essere hard, grottesca, esagerata, caricaturale e invece risulta una copia sbiadita della realtà italiana di oggi. Se dovessi inquadrarlo in una corrente cinematografica, parlerei di neorealismo. Soft. Molto soft. E non abbiamo nemmeno l'alibi di essere appena usciti dalla guerra.
Ma la cosa più raccapricciante è che il logo del partito di Cetto, il PdP, il Partito du Pilu, somiglia in maniera “sietetuttiugualemente” terrificante – nei colori e nella grafica - non a quello di Forza Italia o del Pdl o di qualunque altra cosa faccia riferimento a Berlusconi, ma (non so quanto inconsapevolmente) a quello del cosiddetto partito di opposizione. E non si tratta necessariamente di (la)qualunquismo, ma forse della consapevole disperazione in cui ci ha gettati la situazione del nostro Paese.

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