Da qualche tempo in Italia i giornalisti si fanno le domande e si danno le risposte: è la nuova figura professionale del cronista suggeritore. In questo mondo televisivo in cui ogni avvenimento ha il copione già scritto, il professionista solerte – presente cinque minuti dopo il delitto sul luogo di una violenza carnale o un omicidio (che sia lui, e non più il maggiordomo, l’assassino?) - avvicina la comparsa di turno, inebetita non si sa se dall’atrocità del fatto o da quella domanda con risposta incorporata, e le chiede: “Rabbia e dolore?”. E quella, rassegnata, annuisce: “Rabbia e dolore”.
E poi giù con una teoria infinita di banalità che si susseguono come slavine, rotolano l’una sull’altra, si fondono, ci travolgono e alla fine ci inghiottono tutti.
Ai funerali c’era “una folla commossa”. Mai che ci dicano che – parenti stretti a parte – quelli che erano là se ne sbattevano i coglioni e c’erano andati solo per farsi riprendere dalle telecamere.
Se la vittima aveva 15 anni, a seconda che fosse un ragazzo o una ragazza, gli intervistati ripeteranno come un’eco le parole dell’intervistatore e ci diranno – anche se li avevano solo visti passare per strada un paio di volte – che era “allegro” o “solare” e naturalmente aveva grandi aspettative per il suo futuro e la sua vita. E nessuno viene sfiorato dal dubbio che - proprio perché aveva 15 anni e non aveva ancora capito quale fosse il suo posto nel mondo – pensasse più spesso alla morte e al suicidio che alla vita.
Bandiere tricolori, massime autorità dello Stato e amor di Patria a go go - fino alla sbornia irreversibile a meno che non si riesca a vomitare - invece per il militare morto in una guerra che chiamano pace. E il giornalista credente, obbediente e combattente suggerisce ai genitori di esaltare la fede del figlio in quella missione.
Immancabile, quando la vittima è un ragazzo – con un impegno straordinario ad accumulare strato su strato ovvietà e stereotipi -, la maglia della “squadra del cuore” posata sulla bara, giusto per alimentare l’inganno in base al quale la Patria e il football sono equamente (anzi, il calcio di più) ideali talmente alti da giustificare persino una guerra. E infatti eserciti senza regole si fronteggiano negli stadi. E infatti cronisti suggeritori non provano la minima vergogna a parlare di un goal “entrato nella Storia”.
Poi ci sono le interviste ai vicini di casa e a quelli che abitano nella stessa strada del morto: “Lei lo conosceva? Vi parlavate?” Risposta: “Lo vedevo passare, ogni tanto salutava”. Fondamentale.
Impagabile, infine, l’intervista al prete, che – non si capisce perché – è garanzia di purezza e santità pure se è stato condannato per pedofilia. Così come essere cattolico, per il suggeritore (che evidentemente non conosce la Storia – quella vera – e nemmeno la cronaca, che sarebbe il suo mestiere), è sinonimo di bontà d’animo, onestà, serietà sul lavoro: “Un bravo ragazzo” suggerisce il suggeritore. E allora è divertente vedere il religioso arrampicarsi sugli specchi, perché il morto in chiesa non ci è mai entrato e forse cambiava pure marciapiede quando passava da quelle parti: “Sì, sì, un bravo ragazzo…Non veniva spesso…ma la mamma viene a messa tutte le domeniche e fa le offerte per i poveri. Una santa”. Dunque, per la proprietà transitiva o forse solo per l’ipocrisia di non parlare male dei morti, un santo pure lui.
Ma quand’è che recupererete la dignità? Parlo con voi, sì: voi giornalisti e voi intervistati. Voi giornalisti, perché potreste anche rendervi conto che si può porre una domanda intelligente o che ancora più intelligente (e umano) sarebbe non costringere una madre o un padre devastati dal dolore a recitare per forza la loro parte in commedia. Voi intervistati, voi comparse, perché potreste sottrarvi al rito dell’intervista se non ne avete voglia e invece preferite apparire. Anche se ci fate la figura dei coglioni.
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