In francese si usa lo stesso verbo per indicare
qualcosa che si accartoccia o qualcuno che - fisicamente o mentalmente - si
ripiega su se stesso: recroqueviller, come chiudersi a conchiglia. Questa
parola mi ronza nelle orecchie da stamattina, dal momento in cui mi sono
alzata.
Basta questa
parola, questo suono, e lo senti immediatamente nel bosco il crepitare dei rami
dell'albero bruciati da una mano assassina che si raggomitolano, si piegano,
precipitano a terra, esplodono in mille scintille, finiscono in cenere.
Come senti il
dolore di una donna violata dal branco: uno la tiene e gli altri a turno
"si divertono", poi la gettano via e la lasciano lì, raggomitolata in
un angolo, gli occhi e il cuore al buio, con il solo desiderio di sparire.
Si riempiono
la bocca di Patria (dev'essere per questo, perché la usate voi fascisti dentro
e fuori, che questa parola fintamente al femminile mi ha sempre fatto schifo) quelli
che ieri hanno stuprato definitivamente il mio Paese: a turno, uno lo teneva,
gli altri facevano scempio, riducendolo a brandelli. Poi l'hanno lasciata lì
l'Italia, recroquevillée, e loro sono andati a gozzovigliare e far baldoria
altrove fin quando - barcollanti e ubriachi del loro stesso potere - non
troveranno un'altra occasione e un'altra vittima da violentare, umiliare,
ridurre in cenere, lasciare in un angolo. Per dimostrare quant'è maschio il loro governo.
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