Volete fare un esperimento di natura sociologico-linguistica?
Bene. Prendete una decina di persone variamente assortite, date loro un appuntamento e preparatevi a dettare l’indirizzo del luogo in cui dovranno raggiungervi. Che deve essere un largo. Se siete a Catania, largo dei Vespri, largo Paisiello, o comunque un qualunque “largo” della vostra città.
Tutte e dieci prenderanno carta e penna per scrivere l’indirizzo, ma otto su dieci (ottosudieci!), come allievi limitati ma diligenti che prendono appunti, cominceranno a compitare: “V-i-a l-a-r-g...”. “No, no! Non via: largo!” E loro ricominceranno: “V-i-a l-a-r-g...”. “No, no! Non via: largo!!” E ancora: “V-i-a l-a-r-g...”. “No, no! Non via: largo!!!” per tre o quattro volte, finché non vi deciderete a spiegare: “Non è una via: è una piazza”.
Spiazzate dalla piazza, sentirete il silenzio della loro apnea. Però non si perderanno d’animo, trovando immediatamente la soluzione: “Ah, va bene, tanto lo metto nel tom tom” (che le manderà a cagare, perché se non scrivi “largo” col cazzo che te lo trova!).
Cioè, questi conoscono il navigatore satellitare (che, ovviamente, chiamano solo con il nome commerciale), ma non sanno che nella toponomastica - oltre alle vie, ai viali, ai vicoli, alle piazze – esistono anche gli slarghi, cioè i larghi, che si chiamano così perché sono più larghi (appunto) di una strada, ma non tanto da assurgere alla dignità di piazza.
Ora, io non ne sono certa, ma ho la sensazione – e forse il fenomeno andrebbe studiato in maniera più approfondita e da chi ne capisce - che queste siano le stesse persone per le quali il videogioco si chiama nintendo anche se è made in China, i figli devono essere chiamati con i nomi dei protagonisti delle soap-operas anche a costo di essere presi per il culo fino alla fine dei loro giorni, l’auto non può che essere un Suv (Sport Utility Vehicle, cioè veicolo utilitario sportivo, la cui unica utilità sta nel farsi notare e all’interno del quale l’unica attività atletica consiste nel suonare il clacson) e il reggiseno dev’essere per forza un push-up, cioè due assorbenti notte che simulano le tette. Che poi, scusate la divagazione, ma io mi chiedo: a che cazzo serve il push-up? Mi spiego e formulo meglio la domanda: ma voi, quando scopate, lo fate completamente vestite? Voglio dire: perché indossare un reggipetto che vi fa sembrare una terza o addirittura una quarta se poi, togliendolo, la verità viene a galla? Non sarebbe meglio se i vostri uomini vi amassero o comunque avessero voglia di stare con voi per il vostro cervello e non per forma e dimensioni delle vostre tette?
Perché poi, se mai finirà quest’orribile èra dell’apparire che prevale sull’essere e dell’ignoranza coltivata ad arte dal potere per farsi seguire acriticamente da un gregge di pecore decerebrate, si scoprirà che le tette vanno verso il precipizio mentre il cervello, se si tiene in allenamento (anche soltanto consultando giornalmente il vocabolario e forse persino lo stradario, così da scoprire l’esistenza degli slarghi), non s’ammoscia nemmeno a ottant’anni.
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