Dicono i dizionari che un soggetto monomaniacale è affetto da monomania, cioè un’alterazione mentale in cui l’individuo è ossessionato da un’unica idea costante. Per Berlusconi bisognerà coniare un nuovo termine: bimaniacale. Perché lui di idee costanti che lo ossessionano ne ha due, sia pure di valenza opposta: la figa e i comunisti. Dove nella categoria “comunisti” lui ingloba giudici, persone che rispettano le leggi, professionisti che fanno coscienziosamente il loro lavoro, contribuenti che pagano le tasse, commercianti che non pagano il pizzo, cittadini che non vogliono convivere la mafia e perfino – che è tutto dire – quelli del Pd.
Ora, in base a questo principio, la manifestazione di ieri delle donne (di quelle che non gliela danno perché la sola idea fa schifo) – migliaia di donne e uomini in diverse città d’Italia e d’Europa, con cifre che hanno sorpreso tutti, tale e tanta è l’indignazione - ha scatenato in Berlusconi la solita giaculatoria preconfezionata e ripetuta a memoria: 1) manifestazione faziosa e di parte, orchestrata dalla sinistra, ora pro nobis; 2) tutte le donne che hanno avuto modo di conoscermi sanno in che “considerazione” (e meno male che non ha detto “punto di vista”) le tengo, ora pro nobis; 3) le tratto con grande attenzione e con grande rispetto sia “nelle mie aziende” (ma come, non ci avevano detto che il conflitto di interessi non esiste?) che “nel mio governo”, ora pro nobis; 5) le donne sono più brave a scuola, ora pro nobis; 6) sono più preparate, ora pro nobis; 7) io ho sempre cercato di fare sentire ogni donna speciale, ora pronobis…e via così disgustando. Ovviamente a non rispettare le donne è la procura di Milano, che “calpesta la dignità delle mie ospiti esponendole al pubblico ludibrio: è una grande vergogna”. Amen.
Ma se c’è una vergogna e c’è qualcuno che calpesta la dignità, la propria innanzitutto, non è certamente quel milione di donne e di uomini che ieri sono scesi in piazza a rivendicare dignità, ma anche opportunità di lavoro, diritti, democrazia; sono invece quelle donne e quegli uomini che per denaro si sono fatti suoi zerbini: Belpietro, solo per dirne uno, che stamattina aveva già predisposto il canovaccio da commedia dell’arte in cui il vecchio buffone avrebbe inserito le battute; Gelmini, per dirne una, quella che andava a fare gli esami dov’era più facile, secondo la quale in quelle manifestazioni c’erano soltanto “poche radical chic”.
Quanto alla Minetti, che per l’occasione ha aperto un blog in cui si vantava di non manifestare equiparandosi prima a una principessa (mi si perdoni la facile ironia: del pisello?) e poi a Puffetta (qualcuno le spieghi che quella dei Puffi è in nuce una sorta di società comunista), la stupidità non merita perdite di tempo, perché è come quelle malattie inguaribili che non ci puoi fare niente; mentre – dopo la manifestazione di ieri (ma da quarant’anni, in realtà) - vorrei invece chiedere ai miei colleghi giornalisti di riflettere un attimo prima di usare frasi fatte e definizioni preconfezionate. Perché io non ne posso più di sentire i giornalisti (e le giornaliste) chiamare le donne “il gentil sesso”: io non sono gentile, io sono incazzata nera (lo vedete come parlo?) con questo modello di società di merda in cui essere gentile vuol dire essere carina con il capo e sono incazzata nera con questo regime in cui si nega la libertà di pensiero. E non ne posso più di sentire i giornalisti (e le giornaliste) sentirsi poeti definendo le donne “l’altra metà del cielo”. Forse, per non fargliela usare più, qualcuno dovrebbe ricordare loro che quella frase la inventò il comunista Mao-Tse-Tung. In ogni caso, loro la riferiscono in maniera incompleta, perché – se non ricordo male – il presidente cinese affermava che le donne “reggono l’altra metà del cielo”. E comunque, se volete saperlo, che lo reggano o che lo siano, non mi sta bene nemmeno questa. Perché “l’altra” implica che prima ci sia “l’una” e dunque comunque una condizione di subalternità. Io preferirei essere una delle due metà del cielo, come pure della terra su cui poggiamo i piedi e del mondo del lavoro in cui le donne non sono ancora metà, né per numero né per riconoscimenti professionali o retribuzione. E vorrei che, d’ora in poi, una manifestazione di donne si trasformasse da “Se non ora, quando?” in “Ora e sempre”, perché qui è una guerra di liberazione quella che dobbiamo combattere senza un attimo di sosta.
Infine, Catania. “Ci vediamo là”, ci eravamo detti, convinti di avere numeri da sit-in. Invece, per fortuna, non ci siamo visti, perché eravamo in migliaia e mi piace pensare che stavamo manifestando non soltanto per la dignità delle donne (e degli uomini), non soltanto perché quest’uomo al governo del Paese e i suoi lacchè hanno trasformato l’Italia in un puttanaio, ne hanno atterrato l’economia, ne hanno incrementato la disoccupazione e la mancanza di diritti a livelli non da terzo mondo ma forse da tribù selvaggia (ammesso che i cosiddetti selvaggi non siano più civilizzati di noi): mi piace pensare che stavamo manifestando anche per restituire la dignità a Catania, ridotta a cadavere decomposto dalle amministrazioni di centrodestra che hanno distrutto il poco fatto in precedenza: niente più lavoro, niente più speranze di sviluppo industriale, nessuna attività culturale, artistica, turistica; soltanto traffico, sporcizia – sporcizia fisica e sporcizia etica -, macchine sui marciapiedi, smog, arroganza, maleducazione. Soltanto, in quella manifestazione, avrei preferito non vedere le facce di quelli - esponenti del Pd e sindacalisti in odor di campagna elettorale – colpevoli di avere svenduto la Sicilia a un governo regionale fortemente compromesso (tanto che persino la procura di Catania non ha potuto far finta di nulla) che ha rubato la dignità dei siciliani non meno di quanto abbia fatto Berlusconi con quella degli Italiani.
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