In Sicilia 31 quindicenni (e mezzo) su cento non sanno leggere, non sanno scrivere e figurarsi se sono in grado di capire cosa c’è scritto in un giornale.
Il dato emerge da una ricerca svolta dall’Ocse-Pisa (Programme for International Student Assessment) sulle conoscenze di lettura, matematica e scienze dei ragazzini di 15 anni di 65 paesi dei cinque continenti, in base alla quale in Europa sono venti su cento i giovanissimi di quella fascia di età “privi delle capacità fondamentali di lettura e di scrittura, il che rende loro più ardua la ricerca di un lavoro e li pone a rischio di esclusione sociale”. E non va meglio nel resto d’Italia, complessivamente al 21%, con differenze significative da regione a regione (12% in Lombardia, 22 nel Lazio).
Lo chiamano “semianalfabetismo” ed è forse la sconfitta più penosa di un’intera società riuscita a vanificare la “conquista” dell’obbligo scolastico (che in Italia per la prima volta – val la pena ricordarlo -, sia pure per i soli primi tre anni della scuola elementare, fu introdotto nel 1877 e arrivato fino alla scuola media già nei primissimi anni del Novecento) sancito ancora una volta da quella Costituzione italiana (articolo 34) di cui il governo Berlusconi vorrebbe fare carta straccia.
Oltre 130 anni dopo la prima formulazione dell’obbligo scolastico, in Sicilia il 31,4% dei quindicenni (dato da capogiro se estrapoliamo i quindicenni maschi, perché sale al 43%) è semianalfabeta, anzi affetto dalla più grave delle malattie, quella che la Commissione europea chiama “analfabetismo funzionale”: fenomeno talmente allarmante, soprattutto sul piano delle possibilità occupazionali, da indurre il governo dell’Europa a istituire un’équipe di esperti incaricati di individuare le cause e trovare soluzioni.
Un paio di cause – per quanto riguarda l’Italia - potremmo già indicargliele noi, sapendo che se continua così la situazione non potrà che peggiorare.
Una si chiama Mariastella Gelmini, la ministra della res publica che taglia i fondi alla scuola pubblica per dirottare i finanziamenti verso quelle private (i diplomifici dove il titolo di studio te lo compri e non devi nemmeno fare finta di studiare); la ministra che riporta in vita qualcosa di molto simile all’avviamento professionale e dunque la cesura netta fra le scuole per i figli dei ricchi, destinati per diritto divino a diventare ricchi, e scuole per figli dei poveri, condannati a restare tali; la ministra che – non potendo, come vorrebbe, eliminare fisicamente gli insegnanti, ultimo baluardo di una scuola democratica che insegna a ragionare - elimina le compresenze e ripristina il maestro unico. Che poi alla fine li ha davvero eliminati fisicamente gli insegnanti: oltre centotrentamila a casa, tremila solo in Sicilia. E con loro ha ucciso chi ha bisogno più degli altri di essere preso per mano per attraversare la vita.
L’altra causa si chiama berlusconismo: quella cloaca in cui ti insegnano che non occorre essere bravi per diventare ministri, viceministri, parlamentari, consiglieri regionali. Se sei parlamentare, basta prostituirsi un tanto al voto per diventare ministro o viceministro (probabilmente c’è un tariffario); se non sei un bel niente, basta vendere il tuo corpo per essere eletto/a. E più sei un cesso dal punto di vista culturale, meglio è: certamente potrai sgallinare o fare il bullo impomatato nelle tv del capo e far credere ai quindicenni che la vita è quella. Una volta, nell’Italia uscita dalla guerra, c’era una scuola che cercava di ridare dignità a un popolo umiliato, c’era la certezza che è dalla cultura che viene il riscatto, c’erano gli operai che conoscevano il valore etico e sociale dell’apprendimento e non avevano paura di sobbarcarsi anni e anni di sacrifici per mandare i figli al liceo e poi all’università perché sapevano che alla fine sarebbero stati moralmente ripagati; oggi la linea la dettano le tv berlusconiane, la scuola è quella falsa dei reality, dove ti insegnano che basta poco, appena il tempo di una sveltina, per fare carriera. E forse non è un caso che questi ragazzi siano gli stessi che scrivono – e non solo negli sms – “anche” con la cappa, “po’” con l’accento e “non” senza la o: e non è credibile che lo facciano per risparmiare tempo e caratteri. E’ che gli si è ristretto il cervello.
Così presto la percentuale degli “analfabeti funzionali” salirà al 30%, al 40%, al 50%...e questi, domani, saranno i nuovi elettori del vecchio porco e le nuove leve che in Sicilia – per mancanza di lavoro, per disperazione, per ambizione di ricchezza a tutti i costi, perché i loro genitori hanno alimentato l’assenteismo scolastico, chiudendo un occhio, a volte per bisogno altre per comodo – andranno ad ingrossare le fila della mafia e del clientelismo.
Dopo, se ci sarà un dopo, bisognerà spalare le macerie e ricostruire da zero, come quando finisce una guerra. Ma purtroppo in tv non ci sarà il maestro Manzi e forse sarà già troppo tardi.
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