mercoledì 19 luglio 2017

L'apostrofo azzurro

«Si dovrebbe spiegare a questi pazienti, eventualmente con l’aiuto di mediatori culturali, che le mediche sono brave quanto i medici maschi, e spesso di più. Che il nostro è un Paese generoso, dove il diritto alla salute non è negato a nessuno. Ma in cambio si dovrà fare lo sforzo di adeguarsi alle regole di una civiltà in cui alle donne, quanto meno in linea di principio, sono riconosciute opportunità pari a quelle concesse agli uomini, e non ci possono essere richiesti passi indietro».
Lo scriveva nel 2014 la giornalista Marina Terragni a proposito di un episodio verificatosi all’Unità Sanitaria Locale 16 di Padova, dove i dirigenti avevano deciso di richiamare in servizio tre medici maschi in pensione perché alcuni immigrati musulmani si erano rifiutati di farsi visitare da mediche, ricevendo la stizzita intimazione del sindaco leghista Massimo Bitonci: «Vogliono medici uomini? Vadano a casa loro!»
Perché ve lo sto raccontando? Perché è successo di nuovo, stavolta all’ospedale San Paolo di Savona.
Solo che stavolta a rifiutare di farsi operare, appena saputo che l’anestesista era una donna, è stato un italianissimo settantenne (fra l’altro assecondato dalla moglie), che ha preferito firmare e andare via.
Ora, a parte che non si capisce perché un profugo dovrebbe adeguarsi alle nostre regole di civiltà e invece un italiano possa esserne esonerato, a uno così, da quale “mediatore culturale” glielo fai spiegare che le donne – statisticamente, e non perché lo sostenga io – sia a scuola che nelle professioni sono mediamente più brave degli uomini? E in quale “casa sua” dovrebbe tornare quest’uomo delle caverne?
Peraltro, non mi risulta di aver mai sentito una notizia in cui si parli di un’anestesista che abusi dei propri pazienti, mentre purtroppo ne ho sentite in cui si parla di un anestesista che abusa delle proprie pazienti. È solo una questione di apostrofi. E infatti il maschilismo è l’apostrofo azzurro fra le parole «sei» e «un cretino».


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