Sono tornati finalmente. Me lo dicono quei due
minuscoli accappatoi color pastello stesi ad asciugare. Non vedevo l’ora: ogni
mattina, appena sveglia, andavo a controllare e ci restavo male. Di tanto in
tanto qualcun altro rientrava, ma loro no. Mamma, papà, due bimbi, un cane, un
terrazzo pieno di piante dove accogliere gli amici.
Era rimasto solo il terrazzo, triste come tutti
quelli che si sentono abbandonati. Scommetto che, se avessero potuto, lo
avrebbero portato con sé quel giorno che senza riflettere hanno dovuto prendere
l’indispensabile – e l’indispensabile quando hai due bambini piccoli è un tir
della ditta di trasporti – e fare le scale trattenendo il respiro per non
inalare fumo e paura: quel giorno che il tetto del loro palazzo ha preso fuoco.
Per alcune settimane quello è stato un palazzo fantasma,
le imposte chiuse, i panni sui fili sempre gli stessi a bagnarsi e asciugarsi e
inzupparsi ancora e poi di nuovo a seccarsi al sole, sbattuti dal vento,
sporcati dallo smog, sempre gli stessi in attesa che qualcuno tornasse e li
riportasse a casa.
Poi, a poco a poco, cominciavi a vedere una tenda
spostata, un’imposta socchiusa, i fili della biancheria vuoti che all’improvviso
indossavano altri indumenti; i piani bassi si rianimavano. Loro però non
tornavano, loro che stavano nel punto più vicino a quello in cui si era
sviluppato l’incendio. E chissà quanto desideravano andare a riprendere quella
camicia o quel paio di orecchini che non indossavano da anni; chissà quanto
avrebbero voluto riappropriarsi di quel libro già letto mille volte e sepolto
da mesi sotto una pila di altri volumi sul comodino; chissà quanto avrebbero
voluto recuperare un ricordo o persino un litigio difficile da assecondare se
sei ospite in casa d’altri.
Dev’essere così anche ad Accumoli, a Norcia, ad
Amatrice - o all’Aquila che aspetta da nove anni di tornare a uno straccio di
normalità -, dove chi ha dovuto abbandonare la sua casa chissà cosa darebbe pur
di affacciarsi al balcone e stendere due minuscoli accappatoi, tirare la palla
al cane, accoccolarsi un gatto sulla pancia e persino litigare. Senza dover subire
l’offensiva presenza di uno sciacallo in campagna elettorale che gli promette
la luna distribuendo dentiere e case di cartone, calzando moon boot o stampando
banconote false da ottanta euro.
Oggi ad Amatrice c’è stata un’altra scossa ed è
crollata la parete di una chiesa; è anche probabile che all’improvviso si sia
aperto uno squarcio in una casa costringendo i suoi abitanti ad andare via in
fretta, raccogliendo il minimo indispensabile a sopravvivere. Neanche il tempo
di ritirare i panni. E io so già che da domani ricomincerò ogni mattina ad
aprire le mie finestre sui borghi di questo Paese governato da vampiri, nella
speranza - prima o poi - di rivedere la vita sventolare sui fili della
biancheria e di vedere i vampiri scappare alla vista del sole. Ma ho anche la
certezza che mi verrà l’ansia: più prima che poi.
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