Facciamo così: installiamo accanto alle porte di ingresso
di procure, caserme dei carabinieri e commissariati di polizia delle
macchinette sforna intercettazioni. Come quelle dei preservativi. O come il
juke-box: ci metti cinquanta lire, una cantata; cento lire, tre cantate. In graziose
confezioni colorate, tipo Durex. Stimolante, per gli italiani assuefatti a
tutto, dalla corruzione alla mafia, nella speranza che almeno un po’ prima o
poi s’incazzino; ritardante per i grillini che hanno l’incazzatura praecox ma
solo se non sono coinvolti i loro rappresentanti.
E i giornali li chiudiamo. Tanto, se continua così, non
serviranno più a molto.
Va bene, sono una provocatrice. Ma lo faccio perché
vorrei sollevare il dibattito.
Sto parlando, ovviamente, dell’uso invalso negli ultimi
anni di fare cronaca giudiziaria con il copia e incolla delle intercettazioni
telefoniche. Quindi riportando due frasi essenziali annegate in un mare di rutti,
colpi di tosse, sospiri, starnuti, nasi soffiati, grugniti, risatine,
ammiccamenti, sghignazzi, singole sillabe senza senso e milioni, miliardi di
puntini di sospensione. Un blob di puntini di sospensione che tutto inglobano e
uccidono.
Insomma, io di tutti quegli spernacchiamenti non ci
capisco niente e da un giornalista – pure da uno pagato poco e pur conoscendo
le difficoltà a fare bene il mestiere se ti pagano poco – mi aspetterei che
leggesse le carte e le analizzasse per poi raccontarmele, spiegarmele e anche
commentarmele. E dopo, ma solo dopo, alla fine dell’articolo, per completezza,
se vuoi alleghi tutto lo “sbobinamento” della telefonata intercettata.
Altrimenti vado alla macchinetta, ci metto cinquanta lire,
mi porto a casa un pacchettino fucsia fluorescente pieno di rutti, colpi di
tosse, sospiri, starnuti, nasi soffiati, grugniti, risatine, ammiccamenti,
sghignazzi, singole sillabe e puntini, e mi faccio un assolo di congetture.
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