lunedì 9 gennaio 2017

La malattia dei selfie

Io glielo dico sempre a Roberta che no, non ne voglio sentire, ma lei non mi vuole ascoltare. A sua discolpa, devo dire che ha quasi la metà dei miei anni e perciò la sua è la generazione dei selfie. Il problema (si fa per dire) è che noi due abbiamo scritto insieme un libro e, ad ogni presentazione che facciamo, lei arriva e subito mi fa: ora ci facciamo un selfie.
Ormai è diventato un gioco, un gioco dispettoso: più io mi rifiuto, più puffa brontolona ripeto “io ooodio i selfie”, e più lei insiste. E alla fine mi costringe. Con il risultato che vengo peggio di quanto già non venga nelle fotografie normali.
Ma adesso finalmente ho una motivazione scientifica (oltre a quella “paturniale”). Pare infatti che i selfie facciano male, per quanto per motivi diversi, sia a chi li fa che a chi li “riceve”, cioè è costretto a guardarli. Tanto che qualcuno ha anche inventato un termine nuovo, selficidio, che fra l’altro tecnicamente non è nemmeno corretto visto che la “vittima” non è il selfie ma chi lo subisce. Ma tant’è.
Insomma in India sei ragazzi sono finiti in ospedale: la loro malattia si chiama disordine dismorfico del corpo. In pratica sentono un bisogno irrefrenabile di fotografarsi, lo fanno, si guardano, si vedono brutti, notano tutti i difetti fisici del mondo, il naso storto, gli occhi a palla da biliardo, i brufoli tipo polenta in ebollizione, e gli vengono le crisi isteriche.
Le stesse, a quanto pare, che vengono ai “fruitori” dei selfie altrui: quelli cioè che vedono sui social i loro amici belli e felici e sono dilaniati dall’invidia, gli si prosciuga l’autostima e cadono in depressione.

Che poi se ti viene la rabbia a vedere la felicità dei tuoi amici, a prescindere dai selfie vuol dire che qualche problema ce l’avevi già: anzi, direi che sei proprio stronzo. O sei un amico fasullo. E questa è davvero una malattia grave.

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