Avevo una storia con un napoletano
"immigrato" che mi portava dall'altra parte dell'Isola tutte le volte
che potevo. Strano che nessuno abbia mai chiamato la neuro: la mia macchina
fendeva l'autostrada Catania-Palermo a passo di danza. Che non era esattamente
un minuetto.
Cassetta
taroccata, 190 chilometri ad andare, 190 a tornare, sempre lì, nel mangianastri
(e chi se li ricorda più i mangianastri?), volume a palla, voce a palla, finiva
un lato, la tiravi fuori e, annaspando per non perdere d'occhio il rettifilo,
la giravi e facevi partire l'altro lato. Oppure c'era quella canzone, proprio
quella, che in quel momento sembrava scritta apposta per la tua storia. E
allora vai di rewind compulsivo.
Pino Daniele
non era - come hanno detto molti in queste ore - "la colonna sonora della
mia vita": era, insieme ad altri che se ne sono andati e a quelli che ci
sono ancora (Gaber, De Andrè, De Gregori, Dalla, Mannoia....) un pezzo di
colonna sonora della mia vita e la colonna sonora di quella storia particolare.
Fondamentale come ogni pezzo di un caleidoscopio.
Nel periodo
"napoletano" era un trip. Poi c'è stato il periodo siracusano, poi
quello messinese, fino a quello jonico-etneo: ciascuno con la sua colonna
sonora, perché c'è quella strofa o quel semplice verso che in una pillola
include tutta la tua vita di quel momento. E dopo Pino Daniele canti
ossessivamente Battiato, e dopo Battiato canti ossessivamente Mannoia. Nessuno
di loro viene cancellato: soltanto ben conservato in un cassetto della memoria
da aprire in qualsiasi momento, magari per una jam session.
Ognuno è un
pezzo di quel caleidoscopio, solo un pezzo: ma se si rompe un pezzo gli altri
non riescono più a trovare il loro posto e il gioco non funziona più come
dovrebbe.
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