giovedì 22 maggio 2014

Un macigno sulle nostre teste


Ogni volta che c'è un anniversario, cerco una foto da mettere su Facebook. Le parole mi sembrano banali, trite, retoriche. Cerco, minuziosamente, non una foto qualunque, giusto per far sapere che me ne sono ricordata, ma una che dia il senso dell'avvenimento da ricordare o che, in quel momento in cui le sto analizzando, esaminando, sfogliando, mi suggerisca una chiave di lettura o un'emozione nuova.
Ho fatto lo stesso stamattina, per contribuire nel mio piccolo a marchiare a fuoco nella nostra memoria quel 23 maggio 1992. Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, Vito Schifani, Antino Montinaro, Rocco Dicillo. Le ho guardate e riguardate quelle foto. Ce n'era una che riprendeva dall'alto lo svincolo per Capaci, come se ci fossero lavori di sbancamento per un'autostrada ancora da costruire. C'era la lapide con i nomi. C'era quell'altra con i cartelli autostradali ben in vista, per dire che era successo proprio lì e sottolineare l'enormità dello sventramento.
Pugni nello stomaco, che si ripetono da 22 anni.
Poi mi è capitata sotto gli occhi quella dell'auto di Falcone. Chissà quante altre volte l'avrò vista. Eppure stavolta mi ha detto qualcosa in più. Non è stata l'auto sbrindellata, squarciata, accartocciata, i vetri in frantumi, gli sportelli divelti a colpire la mia attenzione questa volta, ma il cumulo di pietre sul tetto della vettura, come un unico grande macigno.
Ecco: volevano metterci un macigno sopra. E oggi ho la sensazione che stiano continuando ad ammassare macigni: su quell'auto e sulle nostre teste.

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