Ieri sono andata a trovare una mia
"nipotina" che si sposa. "Lavoro?", le chiedo. "Sto
facendo le domande per l'insegnamento, in attesa di fare il mio lavoro vero,
che sarebbe quello di archeologa. Ma non mi faccio grandi illusioni".
Ora, a parte
che togliere le illusioni a una ragazza meno che trentenne (che per di più ha
affrontato studi impegnativi) è da galera, mi ha fatto pensare a un mio amico
ultracinquantenne, insegnante, che di sé dice: "Da grande vorrei fare
l'ingegnere".
E quanti ne ho
conosciuti! Architetti, ingegneri, giornalisti, costretti a
"ripiegare" sull'insegnamento in attesa - da grandi - di fare il
lavoro che gli piace. Insegnanti bravi, ma rassegnati. Gente che ha studiato
prima e che continua a studiare, si impegna, dà il meglio di sé, ci mette il
cuore e l'anima, sa di fare un mestiere bellissimo e di grande responsabilità, ma
rassegnata.
E' questo che
dev'essere la scuola? Un ricettacolo di gente rassegnata che trasmette
rassegnazione? E che cittadini consapevoli potranno essere quelli che imparano
la rassegnazione? Poi ci stupiamo se il 50% non vota o vota per uno qualunque o
per l'uomo qualunque.
Quando il
nostro Paese credeva nel futuro, accadeva che un ragazzo decidesse di
iscriversi all'università e persino di sfidare la sorte, la vita, il futuro e
la condanna classista a seguire certi studi e non altri, scegliendo Filosofia:
grazie a una giovane insegnante non rassegnata che a lui - studente di istituto
tecnico - quella materia non l'aveva mai insegnata, ma gliel'aveva fatta amare.
Oggi alla mia
"nipotina" che si sposa auguro - certo - buona vita, ma soprattutto
buon lavoro da archeologa non rassegnata. Ora, non da grande.
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