mercoledì 19 ottobre 2011

Meglio in carcere che al lavoro

Vediamo di ricapitolare: 1) la Caritas fornisce i dati sulla povertà in Italia - che sono agghiaccianti e forse arrotondati per difetto dal momento che si basano soltanto sulla stima di quanti si rivolgono ai suoi centri di ascolto - e ci spiega che il 13,8% delle famiglie (vuol dire otto milioni e trecentomila persone in carne, sempre meno, ed ossa, sempre più a vista) vive in povertà e che in cinque anni il numero di giovani poveri è aumentato del 59,6%; 2) la scuola targata Gelmini ha istituzionalizzato la figura del precario di ruolo, stabile nella sua precarietà, e c'è gente che alla soglia della pensione non sa di che morte lavorativa morirà; 3) centinaia di migliaia di persone sempre più frequentemente in Italia scendono in piazza per rivendicare lavoro; 4) quotidianamente sentiamo di cinquantenni che si sono tolti la vita o hanno tentato di farlo perché avevano perduto il lavoro; 5) la prima volta che mi capitò di sentire dei commercianti che non rifornivano i negozi per mancanza di clientela fu qualche anno fa a Termini Imerese, dove le scelte della Fiat e dell'assassino Marchionne hanno messo in ginocchio l'intero comprensorio, ma qualche giorno fa la stessa frase me l'ha detta un libraio di Catania e di solito nelle librerie ci vanno quelli che non se la passano male o, meglio, ci andavano quelli che non se la passavano male e che ora invece pagano pure loro gli effetti di una crisi che è mondiale, ma resa insostenibile dalle politiche economiche di un governo che si accanisce con metodo scientifico sui lavoratori e sulle persone oneste.
Ebbene, uno legge queste notizie (l'elenco avrebbe potuto proseguire ben oltre il numero 5) e già gli basta e avanza non per indignarsi, ma per incazzarsi di brutto, poi ne arriva un'altra - di quelle che i giornali radio passano come fenomeno di colore - e allora ti girano talmente tanto che ti viene una voglia irrefrenabile di menare le mani.
Dunque la notizia è questa: c'è una stronza, che risponde al nome di Patrizia Reggiani, arrestata nel 1997 dopo essere stata condannata a 26 anni di reclusione in quanto mandante dell'omicidio dell'ex marito, Maurizio Gucci - titolare della nota azienda di borsaioli, borsisti, borseggiatori (l'ultima che si sa, notizia di pochi giorni fa, è che i titolari della "griffe" a Shenzhen, in Cina, sfruttavano e maltrattavano i lavoratori) -, che avendo scontato già buona parte della pena ha maturato il diritto alla semilibertà, cioè mezza giornata in carcere e l'altra metà a lavorare.
Ebbene "il puttanone", per citare il titolo di un racconto datato di Gino e Michele, la cui descrizione ("la signora bionda e altera con la pelliccia di leopardo e il barboncino bianco seduta sulla jeep Cherokee Limited T.D. 4 x 4 verde targata MI 7M0644 che tutti i giorni tra le 12.30 e le 13 parcheggia in seconda fila in viale Majno a Milano davanti all’Istituto Orsoline San Carlo, costringendo chiunque passi di lì ad almeno cinque minuti di coda supplementare e gratuita") non credo si discosti molto - colore dei capelli a parte - dal personaggio della signora Reggiani vedova Gucci, ha comunicato ai magistrati di sorveglianza del Tribunale di Milano che intende rinunciare alla semilibertà e dunque preferisce restarci per tutto il giorno in carcere perché dice che non c'è abituata a lavorare: "Non ho mai lavorato nella mia vita". Sic.
Ora a parte l'istinto incontrollabile che mi viene di prenderla a calci in culo e che probabilmente mi farebbe finire nella sua stessa cella per rissa aggravata, mi chiedo se un giudice o l'amministrazione penitenziaria, di fronte a una motivazione così sfrontata, non dovrebbe avere il diritto e forse anche il dovere di rispondere: "No, bella, ora tu alzi le chiappe e te ne vai a lavorare e impari come hanno fatto tutti: altrimenti non mangi".
Anche perché il fatto più allucinante, secondo quanto riportano le agenzie, è che alla stronza sarà consentito nel pomeriggio, invece di rovinarsi lo smalto delle unghie lavorando, di trastullarsi curando le sue piante.
E che altro farà? Riceverà le amiche all'ora del tè? Farà entrare in cella due volte a settimana l'estetista e la manicure? Oppure si farà assistere da un massaggiatore shiatsu che la farà rilassare dopo una dura giornata di grattamento di coglioni?

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