lunedì 13 settembre 2010

Il partito del Fatto (nell'assenza dei partiti)

E così Il Fatto (quotidiano) si è fatto – scusate il bisticcio di parole – partito. Una volta erano i partiti a organizzare le feste dei loro giornali; ora è il giornale che organizza la festa – tre giorni in Versilia, comme il faut: con dibattiti politici, proiezioni di film, spazio libri e momenti di divertimento - del partito che gli è nato e cresciuto intorno quasi inconsapevolmente.
Una volta erano i partiti a scrivere le proposte di legge e portarle in Parlamento, ed erano i partiti e gli uomini di sinistra a fare quelle serie e importanti. Uno per tutti, Pio La Torre, di cui indegnamente e infangandone la memoria il Pd si proclama erede. La legge seria e importante – quella contro la corruzione - ora l’ha scritta il Fatto. Evento curioso ma onore al merito, dal momento che i partiti che stanno in Parlamento e certamente il principale (?) partito di opposizione (???) si guarda bene dal disturbare il manovratore mentre i veri partiti di opposizione che stanno fuori dal Parlamento – ormai afasici e depressi, spero non cronicamente - sembrano non riuscire a riemergere dalle sabbie mobili nemmeno con una legge di iniziativa popolare. Lodevole, dunque, l’iniziativa del Fatto, giornale ottimo, serio e combattivo (anche se alcuni suoi giornalisti – permettetemi un appunto – sconoscono l’uso della punteggiatura e a volte ti sembra di esserti imbattuto nell’oracolo della Sibilla cumana) e sicuramente preferisco il partito del Fatto al partito del fare (che poi sarebbe del farsi i cazzi propri, cioè quello di Berlusconi) e a quello dei fatti e strafatti, ma francamente preferirei tornare a quella cosa antica che si chiama “centralità della politica” e vorrei che quella cosa antica fosse gestita da quell’altra cosa antica, ma ancora sinonimo di democrazia, che sono i partiti. Partiti veri: non partiti-giornali, né partiti-persona (e ce n’è, ahimè, anche nel centrosinistra e nella sinistra), né tantomeno partiti-azienda.
Perché in tutti e tre i casi si rischia il qualunquismo. Ora, per esempio, oltre che le feste e le leggi, c’è una terza cosa che Il Fatto si è intestato al posto dei partiti: una cosa che non amo, come quasi tutto ciò che viene dall’America, ma ormai esiste, è realtà consolidata e bisogna farci i conti, e cioè le primarie. Sarà che non mi sento rappresentata da nessuno dei candidati proposti dal quotidiano – Bersani, Fini, Di Pietro, Grillo, Pannella e Vendola, perché dei primi due, uno è il leader di un partito che ha svenduto gli interessi dei lavoratori e il secondo è un fascista, mentre gli altri coltivano il culto della personalità e sono essi stessi “partito” -, ma mi sembra che in questo caso il giornale indulga all’antipolitica.
Certamente c’è da stare preoccupati a leggere i commenti di alcuni lettori che rispondono a quello che Il Fatto saggiamente chiama “sondaggio”. Vogliamo fare un esempio? Ce n’è uno, tanto per dire, che si cimenta nel gioco del governo, facendo i nomi di chi dovrebbe farne parte e ipotizza una sorta di monocolore democristiano – cioè Pd – con Bersani premier e qualche piccolissima concessione a esponenti di altri partiti (ammesso che Vendola possa essere considerato di un altro partito), dimenticando che il cosiddetto maggior partito di opposizione oggi è un po’ sopra il 20% e quindi c’è poco da fare gli “sboroni” e anzi sarebbe auspicabile un po’ di umiltà, magari ricordando a cosa ha portato l’autosufficienza veltroniana. Ma il lettore in questione dà il meglio (!) di sé quando assegna le deleghe e una in particolare, riproponendo una visione del mondo vecchia, maschilista e di divisione di ruoli. Insomma, secondo lui non solo alle Pari opportunità, ministero universalmente considerato minore, quasi uno zuccherino, è ovvio che debba starci una donna, ma per di più dovrebbe starci l’unico essere umano (a prescindere dal sesso) con i controcazzi che sia rimasto nel Pd: Rosi Bindi. Roba da far drizzare i capelli in testa.
Poi c’è un altro che propone una “Federazione di sinistra” fra “Pd, IdV e Vendola” e auspica da parte di quest’ultimo una leadership di colloquio con i giovani individuata in Debora Serracchiani. Vediamo di analizzare questa proposta: 1) il confuso lettore dimentica che esiste già la “Federazione della Sinistra” (Prc, Pdci, Socialismo 2000 e Lavoro e solidarietà) e infatti non ne parla proprio; 2) il Pd non è un partito di sinistra, per sua stessa ammissione e perché è nei fatti (qualcuno ricorda Calearo?); 3) è evidente che anche lui considera Vendola un partito (lo ribadisco: si chiama culto della personalità, che al diretto interessato non sembra dispiacere affatto); 4) Debora Serracchiani? Ma l’ha mai sentita parlare? Questa è una che si è fatta eleggere spacciandosi per “nuovo che avanza” e ha una terminologia da vecchio volpone della politica, per di più senza capire un cazzo di politica. Ma la gente dove vive?
Vogliamo continuare? Ma sì, vi annoio ancora per un po’. Giusto il tempo di notare che la gran parte di quelli che sostengono Vendola ha un’argomentazione comune e cioè che il governatore della Puglia parla bene. Cioè, è un grande affabulatore. Cioè, detta ancora più chiaramente: è bravissimo a prenderci per il culo. Poi ci sono quelli che sbavano per Grillo, chi definisce Bersani un ottimo leader e l’unica alternativa (scusate se mi sto scompisciando dalle risate) e infine chi lancia un nuovo candidato nell’agone e dichiara che “il sogno (non specifica di che genere) sarebbe la Finocchiaro”.
Infine qualcuno – drammaticamente – non lascia un commento, ma soltanto un nome e un cognome: Enrico Berlinguer. Appunto: perché partiti veri non ce n’è più e dirigenti politici nemmeno.

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