E dunque comincio dalla fine: io ho sessant’anni. La fine
è quella di un articolo pubblicato oggi sulla Stampa, firmato da un uomo che
parla di un libro scritto da due donne (a dimostrazione che non è vero che le
donne stanno sempre dalla parte delle donne e quindi di se stesse). «Ritratto
di signora» è il titolo del volume scritto a quattro mani – come se due non
fossero più che sufficienti per una tale raccolta di cazzate (ops, ho già
contravvenuto al nuovo vangelo della femminuccia per bene) – da Laura Pranzetti
Lombardini e Silvia Zavattini; «Se il bon ton al femminile scarseggia ecco le
regole d’oro per rimediare», quello del pezzo a firma Vittorio Sabadin. Che,
appunto, nelle ultime righe raccomanda alla vera signora di non rivelare mai la
propria età: «quando si incontra una donna che lo fa – scrive Sabadin mostrando
di sposare in pieno i comandamenti delle due bontoniste – bisogna diffidarne,
perché una signora che dice la sua età è capace di dire tutto».
Ergo, siccome non sono una signora, lo ripeto: ho
sessant’anni. E siccome non sono una signora ho intenzione di dire tutto quello
che penso di questo articolo e, indirettamente (dal momento che non l’ho letto
e non lo leggerò mai), di questo libro: due corazzate Potëmkin, come da
definizione del ragionier Ugo Fantozzi. Secondo le due Donne Letizie una vera
signora, per essere tale, come riferisce Sabadin, «sorride ogni volta che può,
ringrazia e saluta sempre le persone». E aggiunge, precisando: «anche se sono
camerieri o fattorini». Com’è umano lei!
Ovviamente una vera signora (e io non lo nacqui) non dice
le parolacce, non porta la minigonna dopo una certa età, dev’essere elegante
nel modo di muoversi, di stare seduta, di salire e scendere dall’auto (presumo
solo dal lato passeggero, perché è il vero uomo quello che tiene il comando, il
timone, il volante) badando a farlo, esclama l’articolista, «sempre a gambe
unite!». Altrimenti – immagino sottintenda questo – possono pensare che la dai
via a questo e a quello. E non sta bene.
Le due vere signore/vere autrici danno quindi una serie di
precetti che riguardano la buona educazione: spegnere il telefonino a teatro,
non smanettare con lo smartphone «mentre – riferisce sempre l’autore
dell’articolo – è a cena con un uomo che l’ha invitata». Dal che si deduce che
a cena con un’amica non può andare e che non può essere lei a invitare a cena
un uomo. E poi la raccomandazione: ripristinare l’uso «di espressioni ormai
dimenticate»: per favore, grazie, scusa, hai ragione. Magari – chissà – da dire
all’uomo che le sta violentando o ammazzando. Grazie, scusa, hai ragione.
Aggiungerei: è colpa mia.
Adesso aspettiamo soltanto che le novelle monsignore Della
Casa – coeve, quanto a idee, dell’autore del Galateo - propongano alla ministra
dell’istruzione di reintrodurre nelle scuole medie l’insegnamento dell’economia
domestica: sicché le brave future madri e mogli imparino a confezionare all’uncinetto
i bavaglini per i loro bimbi (mi raccomando: rosa per le femminucce, azzurri
per i maschietti) e soprattutto a preparare gustosi pranzetti per i maritini
che si ritirano stanchi dal lavoro. Sto per vomitare. Ma forse questa non è una
cosa da vere signore.
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