lunedì 30 ottobre 2017

Non sono una signora

E dunque comincio dalla fine: io ho sessant’anni. La fine è quella di un articolo pubblicato oggi sulla Stampa, firmato da un uomo che parla di un libro scritto da due donne (a dimostrazione che non è vero che le donne stanno sempre dalla parte delle donne e quindi di se stesse). «Ritratto di signora» è il titolo del volume scritto a quattro mani – come se due non fossero più che sufficienti per una tale raccolta di cazzate (ops, ho già contravvenuto al nuovo vangelo della femminuccia per bene) – da Laura Pranzetti Lombardini e Silvia Zavattini; «Se il bon ton al femminile scarseggia ecco le regole d’oro per rimediare», quello del pezzo a firma Vittorio Sabadin. Che, appunto, nelle ultime righe raccomanda alla vera signora di non rivelare mai la propria età: «quando si incontra una donna che lo fa – scrive Sabadin mostrando di sposare in pieno i comandamenti delle due bontoniste – bisogna diffidarne, perché una signora che dice la sua età è capace di dire tutto».
Ergo, siccome non sono una signora, lo ripeto: ho sessant’anni. E siccome non sono una signora ho intenzione di dire tutto quello che penso di questo articolo e, indirettamente (dal momento che non l’ho letto e non lo leggerò mai), di questo libro: due corazzate Potëmkin, come da definizione del ragionier Ugo Fantozzi. Secondo le due Donne Letizie una vera signora, per essere tale, come riferisce Sabadin, «sorride ogni volta che può, ringrazia e saluta sempre le persone». E aggiunge, precisando: «anche se sono camerieri o fattorini». Com’è umano lei!
Ovviamente una vera signora (e io non lo nacqui) non dice le parolacce, non porta la minigonna dopo una certa età, dev’essere elegante nel modo di muoversi, di stare seduta, di salire e scendere dall’auto (presumo solo dal lato passeggero, perché è il vero uomo quello che tiene il comando, il timone, il volante) badando a farlo, esclama l’articolista, «sempre a gambe unite!». Altrimenti – immagino sottintenda questo – possono pensare che la dai via a questo e a quello. E non sta bene.
Le due vere signore/vere autrici danno quindi una serie di precetti che riguardano la buona educazione: spegnere il telefonino a teatro, non smanettare con lo smartphone «mentre – riferisce sempre l’autore dell’articolo – è a cena con un uomo che l’ha invitata». Dal che si deduce che a cena con un’amica non può andare e che non può essere lei a invitare a cena un uomo. E poi la raccomandazione: ripristinare l’uso «di espressioni ormai dimenticate»: per favore, grazie, scusa, hai ragione. Magari – chissà – da dire all’uomo che le sta violentando o ammazzando. Grazie, scusa, hai ragione. Aggiungerei: è colpa mia.
Adesso aspettiamo soltanto che le novelle monsignore Della Casa – coeve, quanto a idee, dell’autore del Galateo - propongano alla ministra dell’istruzione di reintrodurre nelle scuole medie l’insegnamento dell’economia domestica: sicché le brave future madri e mogli imparino a confezionare all’uncinetto i bavaglini per i loro bimbi (mi raccomando: rosa per le femminucce, azzurri per i maschietti) e soprattutto a preparare gustosi pranzetti per i maritini che si ritirano stanchi dal lavoro. Sto per vomitare. Ma forse questa non è una cosa da vere signore.


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