Alessandro Bozzo aveva trent’anni, Abdesselem el
Danaf ne aveva 53 e
cinque figli. Uno faceva il giornalista, l’altro l’operaio. Apparentemente
niente in comune, fra l’altro abitavano molto distante: uno a Cosenza, l’altro
a Piacenza. Eppure una cosa in comune c’è: entrambi sono stati ammazzati dai
loro padroni.
Con modalità diverse, ma le loro morti hanno dei
responsabili ben precisi.
Alessandro si è suicidato tre anni fa perché il padrone, l’editore di “Calabria Ora”, Piero Citrigno, lo aveva costretto a dimettersi e ad accettare un
contratto a tempo determinato. Alessandro sapeva che questo non poteva
preludere a nulla di buono, ha preso una pistola e si è sparato: perché sapeva
già che il contratto alla scadenza non sarebbe stato rinnovato; perché sapeva che
al suo editore quelli come lui che scrivono senza timori reverenziali per
nessuno fanno venire l’orticaria e bisogna farli fuori in qualunque modo; perché
chissà quanti suoi colleghi aveva già visto, licenziati, trasformarsi in morti
viventi. Tanto valeva farla finita prima. Il suo assassino, il suo editore, un
paio di giorni fa è stato condannato per violenza privata a soli quattro mesi
di reclusione. Difendeva il suo lavoro Alessandro, ed è stato ammazzato.
Lo
difendeva anche Abdel la notte scorsa, in presidio davanti ai cancelli della Seam
indetto dall’Usb dopo che l’azienda aveva disatteso l’impegno alla stabilizzazione
dei precari. Ed è stato ammazzato. Un capo ha dato ordine al conducente di un
camion di forzare il picchetto, dare gas e partire, come se invece di uomini là
ci fossero stati sassi da superare con un colpo deciso di acceleratore. Tutto
visto e documentato dai sindacalisti presenti. Non è difficile pensare che
anche stavolta il padrone assassino la farà franca: dirà che non c’era, che ha
fatto tutto un dipendente troppo solerte e pure a lui forse daranno quattro
mesi di reclusione, pena sospesa e bella vita inclusa, sulla pelle dei
lavoratori.
Sembra di
essere tornati a Zola, lo sciopero dei minatori, l’esercito che spara sui
lavoratori; sembra che il crimine sia diventato lottare per i diritti e non
uccidere gli operai che lottano per i loro diritti. E non siamo in Bangladesh
dove una fabbrica va in fiamme e tutti noi li guardiamo dall’alto in basso
perché loro sono terzo mondo e noi no: siamo in Italia, dove al governo c’è un
partito che si chiama democratico ma odia il popolo, dove i diritti sono stati
cancellati, dove se ti ribelli il padrone ti ammazza. Tanto sa che resterà impunito.
Siamo noi il terzo mondo.
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