domenica 2 ottobre 2016

Barbarie


Io per fortuna da bambina leggevo i quotidiani, lenzuola di carta con cui mi apparecchiavo un letto per terra nello studio di mia madre e mi ci stendevo sopra a pancia ingiù, perché erano troppo grandi per tenerli in mano. E però c’erano pure le riviste. Abiti firmati, mobili di pregio, gioielli accecanti, i servizi di piatti intarsiati d’oro, favole patinate. Realtà e regalità. Nella realtà le “ammazzatine” e i delitti d’onore, nella regalità la vita da fiaba, il sogno della principessa. O forse no. Nella realtà della regalità c’era anche l’incubo della principessa ripudiata, la “principessa dagli occhi tristi”, anni Sessanta, molto prima di Lady D: Soraya Esfandiari Baktiari cacciata dallo scià di Persia Mohammad Reza Pahlavi (che pure dicono l’amasse), in virtù di una anche allora anacronistica legge salica, perché incapace di dargli un figlio maschio, un erede al trono che poteva e doveva essere soltanto di sesso maschile. Incapace lei, anche se – come tutti sanno – a determinare il sesso del nascituro sono i cromosomi dell’uomo; ma ad essere cacciate come esseri inutili, come “colpevoli”, erano le donne. Soraya dopo essere stata ripudiata fece una vita di merda, lussuosa ma di merda, alcol e antidepressivi che la portarono alla morte. Praticamente un femminicidio differito il suo, una quarantina d’anni dopo la cacciata.
Roba vecchia? Acqua passata? Come il delitto d’onore, no? Storie d’altri tempi. Per quanto, se pensiamo che il delitto d’onore in Italia è stato abrogato soltanto nel 1981 qualche domanda dovremmo porcela.
E infatti oggi due di quelle storie d’altri tempi sono riaffiorate dal passato e ci sono piombate sotto gli occhi dalle pagine dei quotidiani in tutta la loro concretezza e malvagità; e per venire fuori hanno scelto lo stesso giorno, quasi a volerci ricordare che non ne siamo usciti, che siamo ancora alla barbarie, che siamo sempre di più nella barbarie. Sono storie che ci parlano, ancora una volta, di violenze contro le donne e di uomini impotenti – come sono i mafiosi e quelli che vivono nel mito della virilità. A Catania (e quanto mi fa male dover parlare della mia terra) un marito giovane ha preso a calci e pugni sua moglie praticamente per tutto il periodo della gravidanza, perché colpevole di essere incinta di una femmina. “U masculu”, ci voleva “u masculu”: magari per seguire la carriera criminale del padre pregiudicato, l’erede al trono della devianza, “u masculu” da esibire con orgoglio, “u masculu” a cui insegnare che le femmine devono stare sottomesse. U masculu che può e deve tradire, se è vero masculu, ma non può subire l’affronto del tradimento. Affronto per il quale la “colpevole” può essere condannata a morte, onta da lavare col sangue. È successo a Palermo (e quanto mi fa male dover parlare della mia terra), dove dei vecchi mafiosi avevano decretato la pena capitale per la giovane moglie di un sodale ergastolano che secondo loro aveva un amante e li disonorava tutti, tutta la “famiglia”. Parlavano di rispetto, di dignità e di onore nelle intercettazioni che fortunatamente li hanno fermati in tempo. Cianciano di rispetto, dignità, onore e virilità i vecchi mafiosi di là, il giovane pregiudicato di qua; e progettano femmincidi i vecchi mafiosi di là, il giovane pregiudicato di qua: uomini incapaci di accettare che una donna decida della propria vita e capaci persino di attribuirle le “colpe” dei loro cromosomi. Convinti come sono di essere infallibili e superiori. Poveri, piccoli, esseri meschini; povere, piccole, grandi montagne di merda. Nella vita reale e in quella regale, nelle storie vere dei quotidiani e nelle fiabe delle riviste patinate. E non c’è niente da sognare.


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