sabato 27 giugno 2015

Preti che odiano le donne


E per il concorso "preti che odiano le donne" oggi the winner is.... Hipólito Reyes Larios, arcivescovo di Xalapa, nonché ennesimo religioso che pretende di dare lezioni su cose di cui non capisce una mazza e il cui unico strumento di ragionamento è la "mazza" suddetta.
Il prelato messicano ha scelto il momento di maggior ascolto, la messa domenicale delle dodici, per lanciare l'allarme su una nuova epidemia che si starebbe diffondendo nel suo paese. Di nuovo il colera? No, macché: le donne. Anzi, per l'esattezza, le madri single che secondo lui sarebbero "una piaga infernale" perché "una madre single non può essere madre e padre allo stesso tempo".
Bene, sua eccellentissima misoginia, le do una notizia: il mondo è pieno di miliardi di madri che fanno il padre e la madre insieme, e non perché siano vedove o separate (unica concessione da parte sua) o perché si siano fatte impollinare da un semisconosciuto o da una provetta, ma perché di solito i padri se ne fottono dei figli. Con qualche eccezione, naturalmente: ne conosco uno che è ansioso come una mamma.
Ascolti un consiglio, sua eccellentissima misoginia: si sposi, ma anche se non si sposa va bene lo stesso, faccia una bambino (no, non ho detto "si" faccia un bambino: so che per questo non avete bisogno di esortazioni), se ne occupi, si preoccupi quando fa le malattie esantematiche o prende un brutto voto, gli pulisca la cacca, gli prepari la pappina e se la faccia sputacchiare tutta addosso, vada a parlare con i professori, gli dia delle regole e le faccia rispettare, si rosicchi i gomiti quando tarda a rientrare la sera e non dà notizie di sé, lo aiuti a fare i compiti, e nel frattempo pulisca la casa, vada a lavorare e a fare la spesa, cucini per la sua compagna, le stiri i vestiti, lavi i piatti, lucidi l'argenteria, arrivi sfinito a fine giornata ma tutto bello ripulito e in forze per soddisfare le voglie della sua signora e poi ne riparliamo. Mi dirà se non si può essere insieme padre e madre (anzi, direi che c'è pure il vantaggio di non dare indicazioni contrastanti che disorientano il bambino). Io intanto - in attesa di essere smentita - continuo a pensare che l'unica vera piaga dell'umanità sia l'integralismo religioso.

lunedì 22 giugno 2015

Il prezzo della vita? Un pieno di benzina

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"Sono un pensionato e la benzina costa troppo, non me la posso permettere". Più o meno sembra abbia detto questo agli inquirenti l'uomo che a Palermo ha confessato di avere ucciso l'impiegato di un distributore di benzina. Evidentemente a Palermo, dove il problema principale è il traffico e non solo quello metaforico, la vita di un uomo vale meno di un pieno di carburante. Sicché, se ti girano i coglioni, puoi prendere la pistola e fare fuoco.
Senza curarti di sapere se quello che tu hai eletto a vittima è un dipendente pagato in nero, se è padre di un paio di bambini, se - per esempio -, visto che lavorava lì da pochi giorni, probabilmente era uno più sfigato di te che aveva trovato il suo primo lavoro a 44 anni suonati.
Sono andata su uno dei tanti gruppi di discussione su Internet: dicono che una 7,65 costi alcune centinaia di euro, cioè più o meno quanto una pensione al minimo o quanto sei pieni di carburante che ci puoi andare quasi in capo al mondo.
Sai che c'è? Che se uno una cosa non se la può permettere ci rinuncia: non se ne va in giro ad ammazzare la gente che chiede di essere pagata per un servizio. Che poi, vorrei sapere dove devi andare: sei pensionato, non hai nemmeno l'alibi di prendere la macchina per raggiungere il posto di lavoro. Fai come me: buttala 'sta macchina, cammina a piedi o in bici così scarichi le tensioni, non ti intossichi e non avveleni l'aria, prendi l'autobus se proprio non ti va di camminare. E poi vendi la pistola così ci campi un mese.
Ma in fondo la colpa non è tutta sua: gli hanno insegnato che della macchina non si può fare a meno, che è un modo per dimostrare che esisti. Nella pubblicità tutto comincia e finisce con l'auto: la famigliola presunta felice, le femmine da rimorchiare, l'aria condizionata che ammazza l'ambiente ma chi se ne frega se io mi sento come sulla cima di una montagna, la vettura che si parcheggia da sola e quella che "me la freghi? non mi frega" e c'è persino quella alimentata a viagra. Gli hanno insegnato, ci hanno insegnato che la macchina è la cosa più importante della nostra vita.
Poi all'improvviso il cocchio ridiventa zucca e tu sei diventato un assassino. Per futili motivi.

domenica 21 giugno 2015

Un padre gay


"Papà, che ore sono?"
"..."
"Papà, che ore sono?"
"..."
"Papà, che ore sono? Papà, che ore sono? Papà, che ore sono?"
"..."
Nessuna risposta. Gli occhi iniettati di sangue, la bava alla bocca, un coltello in mano, lui digrignava i denti e non rispondeva, troppo preso ad alimentare il proprio odio. Lei chiedeva l'ora ossessivamente, lui non rispondeva ossessivamente. A volte, formulando la solita domanda, gli toccava il polso dove teneva l'orologio, forse sperando che il contatto fisico lo distogliesse dal suo obiettivo di morte. Ma lui non rispondeva.
In realtà a lei non importava niente di che ora fosse: ingenuamente, dal basso dei suoi sei, sette, otto, nove anni, sperava di riportarlo sulla terra e di mettere fine a quell'incubo quasi quotidiano. Di suo padre che voleva ammazzare sua madre. E diventava cieco e sordo a qualunque sollecitazione esterna.
La sua vita da bambina era fatta di questo: urla, pianti, risvegli notturni, il giovane medico di famiglia che accorreva e non andava via finché tutto non fosse tornato a una finta normalità, la paura di restare a dormire dai nonni e non poter difendere sua madre se lui l'avesse aggredita ancora.
Non c'era un motivo perché lui volesse uccidere la propria moglie: semplicemente, la odiava. E basta. Qualunque cosa sua moglie facesse, non gli andava bene: se comprava un tailleur pantalone alla figlia più grande, non andava bene, le femmine non dovevano portare i pantaloni, ed erano urla e minacce. Se portava la piccola dall'oculista, erano sospetti - "dove sei stata?" -, urla e minacce. E sempre quel coltello che saltava fuori, quello sguardo carico di odio, e sempre quella domanda: "Papà, che ore sono?" Ma lui non rispondeva. Che poi, chissà perché proprio "quella" domanda.
Poi, un giorno, lui se ne andò. Lei non ricordava più né come né quando, ma finalmente era uscito dalla loro vita. Le era rimasto, però, e per tutta la vita, il vizio (praticamente un tic) di guardare l'ora in continuazione, il terrore della gente che urla, quel tremito alle gambe che la rendeva impotente come un tempo ogni volta che vedeva qualcuno litigare, e la sensazione di essere di troppo ovunque si trovasse, come quando chiedeva "Papà, che ore sono?" e lui non le rispondeva.
I suoi genitori non si vedevano da più di quarant'anni quando lei seppe della morte di suo padre, quasi novantenne, ormai davvero cieco e sordo e inoffensivo come chiunque con quel carico di anni, come anche il più sanguinario dei boss mafiosi quando la vita ti ha preso tutto ciò che ti poteva prendere. Lei non versò una lacrima, non ebbe un rimpianto né un moto di pietà. Le sbocciò nella mente soltanto un pensiero folle: "Finalmente, non potrà più farle del male".

***

Padre e madre insegnanti, matrimonio in chiesa, due figlie, battesimo, comunione e cresima, lui votava Democrazia cristiana: la mia era una borghese famiglia tradizionale. Peccato che lui fosse un violento e che abbia tentato più e più volte di assassinare mia madre. Peccato che certe cose ti segnino per tutta la vita. Ma invece peccato - per voi che andate al family day dicendo di voler difendere i vostri figli e poi magari vi trastullate con l'amante o vi intrattenete con i bambini, di altri e pure con i vostri - sarebbero le unioni civili fra omosessuali. Non le guerre, non la fame nel mondo, non gli stupri, non il razzismo, ma le unioni civili fra omosessuali. Io francamente avrei preferito avere una famiglia meno tradizionale, e un padre un po' più gay e un po' meno democristiano.

Sbirri e sbirri

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Non sono passati tre giorni che subito è nato il fan club. Cioè - in quell'immenso Bar dello Sport virtuale che si chiama Facebook - un gruppo segreto di sostegno a Gioacchino Lunetto, l'ispettore della Polfer che infanga un Paese intero sprizzando razzismo da tutti i pori e rimpiangendo Hitler. Di lui tutti i giornali, con parole identiche, ci hanno detto che è stato anche "consigliere comunale ad Aci Sant'Antonio fra il 2003 e il 2008", ma nessuno si è preoccupato di scoprire e comunque di riferirci quale partito politico potesse aver candidato questa perla d'uomo.
L'ho chiesto a un amico della zona e lui mi ha risposto "Ovviamente Fiamma tricolore". Già, ovviamente. Nel 2003 l'ovviamente era ancora ovvio e andava da sé che un nazista lo trovassi nel partito discendente diretto dell'Msi. Fosse stato consigliere comunale oggi la sua collocazione non sarebbe tanto ovvia. Non mi stupirei affatto di trovare un consigliere comunale razzista nelle file di un partito il cui segretario nazionale (e incidentalmente presidente del consiglio) odia i lavoratori e vuole distruggere la scuola pubblica.
Del resto - piange il cuore a ricordarlo, ma si deve - vengono da questo stesso nuovo partito di destra guidato dal cosiddetto premier due che erano nati comunisti e hanno avuto lo stesso percorso degenerativo, arrivando agli insulti violenti e ai toni paramafiosi nei confronti degli avversari. Uno è Vincenzo De Luca, neoletto presidente della Campania, condannato per abuso d'ufficio, la cui aggressività è sublimata nella celeberrima parodia (?) fatta da Maurizio Crozza; l'altro, a cui sicuramente spetterebbe un posto nel Paese delle Meraviglie, si chiama Nino Di Guardo, è stato deputato regionale in Sicilia ed è sindaco di Misterbianco. Un po' De Luca e un po' Razzi, a cui contende il primato di analfabetismo molesto (molesto, sì: perché con tutti i soldi che guadagnate un corso serale di Italiano ve lo potreste pure pagare), il "primo" cittadino in pieno consiglio comunale si è rivolto a un consigliere ex sostenitore passato all'opposizione, che di mestiere fa il maresciallo dei carabinieri, dicendogli che "i sbirri" (sic) se ne devono andare dal suo paese perché "i sbirri" (ri-sic) gli fanno schifo.
L'ultimo a dire qualcosa di simile era stato Bartolo Pellegrino, vicepresidente della Regione e assessore regionale al Territorio nel governo di Totò Cuffaro, capo di Nuova Sicilia, accusato di mafia e intercettato mentre definiva le forze dell'ordine sbirri e infami.
Poi agli inquirenti disse che infami non l'aveva mai detto e che sbirro ha un significato positivo. Già, sempre così fanno: malandrini finché non li beccano. Anche Di Guardo ha detto che è stato strumentalizzato e in parte è vero perché l'inesistente Angelo Attaguile, oggi parlamentare salviniano e dunque razzista, nonché per grazia ricevuta componente della Commissione antimafia, ha ottenuto il proprio quarto d'ora di celebrità chiedendo che gli atti di quella seduta di consiglio vengano trasmessi all'organismo bicamerale d'inchiesta. Resta il fatto, Attaguile o non Attaguile, che un sindaco non si può permettere di gettare fango sugli esponenti delle forze dell'ordine e quindi, estensivamente, sulla legalità. Altrimenti poi non si offenda se gli dicono che ha comportamenti mafiosi. Così come non si può permettere di offendere la sua istituzione con i suoi comportamenti (e qui chiudo il cerchio) il nazista occhi di ghiaccio che risponde al nome di Gioacchino Lunetto. E francamente non so cosa aspetti il Questore di Catania a prendere provvedimenti. Non conosco le procedure, ma credo siano passati già fin troppi giorni e sarebbe ora che nei confronti di Lunetto si prendesse l'unico provvedimento ipotizzabile: mandarlo via a calci in culo e ridurlo alla fame e alla disperazione, così forse lo capisce quello che passano i migranti. A meno che la linea del Viminale non sia quella della Diaz e in serbo per Lunetto non ci sia una bella promozione. In quel caso, sì, "i sbirri" ci farebbero davvero schifo.

P.S.: Il gruppo di sostegno a Lunetto questa mattina alle 8 aveva 63 "membri", un paio d'ore dopo era a 73 e prima di pranzo aveva già superato il centinaio. Che si aspetta a chiuderlo?

domenica 7 giugno 2015

Straccioni

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I benpensanti ingessati ci guardavano come fossimo straccioni. Tremila lire costavano, pure duemila lire se avevi culo e le trovavi al mercato e te le compravi di tutti colori. Sono state una delle cose più divertenti della mia vita. Se avevi l'alluce svettante, dopo un mese si bucavano in punta. Allora ci cucivi sopra un fiorellino di pezza o un tondino di passamaneria per farle arrivare fino alla fine dell'estate. Così come da un paio di jeans sdruciti dalle ginocchia in giù ricavavamo una gonna.
Ora le espradillas sono tornate, costano 35 euro (cioè - perdonate l'unità di misura berlusconica - settantamila lire, ma state pur certi che si bucheranno comunque), le fanno pure col tacco e sprizzano lustrini e paillettes da tutti pori e persino dalle suole. Come se avessero sbagliato decennio e fossero precipitate nel cattivo gusto degli anni Ottanta, in questo revival del decennio peggiore che io ricordi, in compagnia di corrotti e corruttori, violazione di diritti, leader di destra che si spacciano per sinistra e cancellano lo statuto dei lavoratori come allora si cancellava la scala mobile, nani e ballerine che diventano statisti. Praticamente sono espadrillas di destra, che volendo sarebbe un ossimoro. Esattamente come lo è Renzi di sinistra.
Adesso aspettiamo solo il ritorno delle spalline. Per ora la gommapiuma la stanno usando per la megatruffa delle megatette, inserita in reggiseni e costumi (anche questi tutti imbrilloccati come abiti da sera) che fanno somigliare a delle mucche, ma vedrete che torneranno e allora saremo (sarete) tutte delle mucche corazziere.
Io intanto, in attesa che tornino gli anni Settanta, mi tengo le mie espadrillas colorate, di sinistra e con il buco all'altezza dell'alluce, e il mio costume a triangolo. Finché non si disintegrano. Meglio straccioni che stronzi.


lunedì 1 giugno 2015

Omissis


E' come se la radio francese (la tv non era così diffusa) nel 1954 avesse invitato in studio il giovane scrittore e compositore Boris Vian per fargli presentare la sua ultima canzone e gli avesse chiesto di cantare solo i primi due versi:

Monsieur le Président
Je vous fais une lettre.

Punto. Lasciando il resto alla libera immaginazione degli ascoltatori. Che, a parte pochi eletti, avrebbero potuto pensare che si trattasse della lettera di un tifoso al presidente di una squadra di calcio, di un azionista al presidente del consiglio di amministrazione, di un condomino al presidente dell'assemblea condominiale. Nemmeno sfiorati dall'idea che il destinatario fosse il presidente della Repubblica e che quella lettera dichiarasse guerra alla guerra.
Un po' come ha fatto ieri Fabio Fazio. Non ne poteva fare a meno, perché probabilmente si trattava di una marchetta, ma poteva "limitare il danno" (forse la casa editrice ha pagato poco) e così ha invitato in trasmissione Nino Di Matteo proprio nel giorno del silenzio elettorale, quando cioè non si possono fare i nomi dei politici. E lo ha avvertito: lo ha avvertito prima, dietro le quinte, e ha continuato ad avvertirlo durante tutta la breve durata dell'incontro, costringendo il magistrato più odiato dalla mafia (e dallo Stato) ad usare un cifrario a metà fra la lingua dei segni e la trascrizione di un verbale di interrogatorio piena di omissis.
Il fatto è che Di Matteo era lì a presentare il suo ultimo libro (scritto con Salvo Palazzolo), Collusi, dove i collusi con la mafia sono - oltre ad esponenti vari del mondo delle istituzioni - appunto e prevalentemente uomini politici.
Ma ieri quei nomi non si potevano fare ed è come se lo strapagato Fazio, incollato alla poltrona con l'Attak, lo avesse invitato per fargli dire cosa c'è scritto nella seconda pagina dopo la copertina: proprietà letteraria riservata, ISBN, prima edizione, eccetera. Poi, che oltre la quarta pagina si parlasse di rapporti fra mafia e politica o delle imprese di un alpinista, per Fazio era indifferente. Anzi, avrebbe preferito l'alpinista piuttosto che agitarsi sulla sedia come se avesse i vermi: nel timore che Di Matteo svelasse una verità che in campagna elettorale è coperta da omissis (non sia mai che gli elettori lo scoprono e votano per le persone per bene) e cioè che spesso e ancora adesso i politici sono collusi con i mafiosi. E che per questo la democrazia va a puttane.