Nel bar sotto casa dopo il primo cambio di gestione
non ho mai messo piede. Storie di mafia. Quello che lo aveva rilevato è stato
ammazzato qualche giorno prima dell'inaugurazione. E' buffo: quel bar ora è
luogo di ritrovo dei sordi. Clienti ideali: non sentono e non parlano, se non
tra di loro.
Il problema è
che non so più quale bar (pizzeria, negozio di abbigliamento o di arredamento,
supermercato...) frequentare. Prima usavo una specie di "timone": ad
ogni operazione di mafia con sequestro di beni smettevo di entrare in quel
negozio che si era scoperto essere proprietà di un boss. A un certo punto ho
anche affinato la tecnica, almeno per i bar: quelli che espongono il logo di
"quel" caffè, sicuramente proprietà di "quel" mafioso, da
me non avranno mai un centesimo (anche se dubito che questo possa scalfire i
loro introiti). Punto sulle marche nazionali. Già, e se il distributore è
mafioso?
Battaglia
impari: la mafia in certe città è come l'ombra. A seconda della posizione del
sole o di un lampione, può camminarti a fianco, precederti, pedinarti come
farebbe un malintenzionato, ma c'è. Anche se non la vedi. Ti passeggia accanto,
ti accompagna.
Che in realtà
lo sai già, ma poi succede qualcosa che ti ci fa sbattere il naso contro. A me
è successo un giorno in tribunale. Ero nell'area riservata al pubblico insieme
ad altri giornalisti ed esponenti di associazioni antimafia per assistere a un
processo. Accanto a me un signore anziano, talmente vicino che la manica della
sua giacca sfiorava la manica del mio cappotto. Cominciarono ad arrivare i
detenuti e all'improvviso lui iniziò a profondersi in una serie di
sdolcinatezze e a mandare baci, dalla mano alle sbarre della gabbia, in
direzione di uno di quegli uomini in ceppi. Non fosse che tutti (tranne le
forze dell'ordine, forse) sanno o intuiscono che si tratta di segnali, avresti
pensato a una vecchia checca.
Ci ho
ripensato qualche giorno fa, vedendo il film di Pif, "La mafia uccide solo
d'estate". E ti sfiora la manica. Vedi uno che fa lo scemo davanti a una
culletta, come ogni padre rincretinito davanti alla figlia appena nata, leggi
il cartello con il nome della bimba e scopri che suo padre è la belva umana. E
da quel momento la tua vita - sorrisi, risate, pensieri, preoccupazioni, amori
- sfiora e si intreccia con la sua.
Si ride
(tanto), si pensa (altrettanto), si sorride, si pensa, si sospira di angoscia,
si ride... all'improvviso il cinema intero ammutolisce e si sente soltanto il
suono delle tue lacrime e il contrappunto di qualcun altro che tira su col
naso. Ripensi a quando facevi archeologia politica con tuo figlio e i suoi
compagni di scuola.
Quello di Pif
è un film che ti entra nel cuore in punta di piedi, con delicatezza, come fu
qualche anno fa Fortapàsc, e all'improvviso ti esplode dentro. E' un film che,
sì, certo, andrebbe proiettato in tutte le scuole - e questo lo dicono tutti -,
ma è un film che andrebbe proiettato in tutte le piazze di ogni città e di ogni
paese: uno schermo in ogni piazza, in contemporanea e a ripetizione, per
costringere tutti a vederlo e a prendere atto che la mafia ce l'hai sotto casa,
che ti sta accanto e la manica della sua giacca (o del suo doppiopetto) sfiora
la manica del tuo cappotto. Per costringerti a prendere atto che la cosa ti
riguarda.
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