Mettiamo
che dopo il parto abbiano ripreso un’ottima forma, mettiamo che siano tutte
magre, mettiamo che siano in fila indiana come se stessero aspettando di pagare
un bollettino alla posta per iscriversi a un concorso per un posto di lavoro,
mettiamo che dritte in piedi e senza respirare occupino in profondità uno
spazio di 40 centimetri, vuol dire un chilometro e duecento metri di fila d’estate
e con i vestiti leggeri. O, se la vogliamo fare più facile, prendiamo il comune
di Enna, un po’ più di ventisettemila e trecento abitanti, un tasso di
disoccupazione insostenibile già così, e disoccupiamoli tutti i suoi abitanti,
donne e uomini, vecchi e giovani. Ecco, riuscite a immaginare? Un’intera città,
capoluogo di provincia, abitata da morti viventi.
Ora
tornate a pensare alle donne dopo il parto e finché il bimbo o la bimba non è
ancora in età da asilo, perché è di loro che si sta parlando: 24.618, un po’
meno degli abitanti di Enna, 24.168 donne che hanno dovuto lasciare il lavoro malgrado
o forse proprio a causa delle mancette da 80 euro al mese (poi peraltro
dimezzate) con le quali i vari governi e quelli renziani ancor di più hanno
tentato di gettare fumo negli occhi parlando addirittura di incentivi alla
natalità. Incentivi alla natalità? Le donne che hanno dovuto lasciare il lavoro
lo hanno fatto perché non ci sono asili nido a sufficienza o perché non si
possono permettere – e certo non possono farlo con 80 o 40 euro al mese - di
pagare una persona che si occupi dei loro bimbi quando loro sono al lavoro o
perché non hanno nonni a portata di passeggino, o per tutte queste cose
insieme.
E
poi forse anche per un’altra ragione che andrebbe indagata prima di dire che
fra le cose buone (?!) del governo Renzi c’è pure l’abolizione della lettera di
dimissioni in bianco: perché siamo sicuri che i padroni il modo per aggirare la
legge non lo abbiano trovato come sempre? E siamo sicuri che una parte di
queste donne non sia stata costretta a dare dimissioni “volontarie” a causa del
mobbing che solitamente viene riservato alle donne che fanno figli? Del resto, in
Italia succede anche a quei pochi uomini che decidono di occuparsi dei figli: è
di oggi la notizia di un pubblicitario che, tornato al lavoro dopo un congedo
di paternità, ha trovato la sua scrivania occupata da un altro, è stato
demansionato, poi inserito in un elenco da dipendenti da mettere in cassa
integrazione e infine costretto ad andarsene.
Allora
forse – in mancanza di quelle misure serie che consentirebbero alle donne e
agli uomini di vivere serenamente la maternità e la paternità – dovrebbero smetterla
di prenderci per il culo sulle gioie della maternità e cominciare a
classificare i ridicoli 80 o 40 euro come incentivi alla sterilità. Magari
vincolandoli all’acquisto di preservativi in confezioni formato famiglia.
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