lunedì 8 maggio 2017

Da donna, da giornalista, e da hater

«Donna, prima. Giornalista, poi». È la definizione che dà di sé, nel blog che tiene sull’Huffington Post, Deborah Dirani, autrice di un pezzo di una cattiveria gratuita, al limite del sadismo, sulla ragazzina sedicenne che a Trieste ha partorito una bimba di nascosto e poi l’ha abbandonata nel giardino del suo condominio provocandone la morte.
Cattivo, quel pezzo, fin dal titolo, con una condanna senza appello e per di più con l’intento di suscitare il senso di colpa prendendo spunto dalla coincidenza con una ricorrenza commerciale, come le tante funzionali al profitto: «La Festa della Mamma di un’assassina».
Dunque, da donna prima e da giornalista poi, Dirani non si è preoccupata di capire, non ha indagato il contesto, non si è informata sul livello di maturità della sedicenne, non si è chiesta che tipo di rapporti la ragazzina avesse con i propri genitori e con il tipo che l’ha messa incinta. Non si è chiesta, insomma, perché ha fatto una cosa così orribile. Semplicemente l’ha marchiata come assassina.
Ora, senza voler essere buonisti a tutti i costi o voler cercare attenuanti, a meno che non sia in possesso di notizie che nessuno di noi ha – dal momento che si sta parlando di una minorenne che va tutelata e di cui quindi giustamente gli inquirenti non svelano niente - mi chiedo come possa Dirani emettere una sentenza così definitiva e addossare tutta la colpa di questo gesto terribile soltanto sulle spalle di una ragazzina di sedici anni.
Con parole altrettanto terribili. Ne riporto alcune, che danno il senso dell’accanimento a senso unico, come se quella ragazzina non avesse intorno una famiglia, un fidanzato, una scuola, una società che potrebbero essere corresponsabili in parti uguali: «Perché quella bambina che se ne sta impacchettata sotto la finestra di casa tua, quella bambina che forse piange, mentre tu sciabatti dalla camera al bagno – scrive, usando parole volutamente sprezzanti e acuminate come la punta di un coltello usato per uccidere – per sciacquarti via il sangue in cui l’hai appena partorita, non è pazzia: è carogna». Pretende che la sedicenne dovesse sapere come fare, una volta nata la bimba, ad abbandonarla in sicurezza, sapendo che qualcuno l’avrebbe salvata (e magari, che ne sai se non sperava che lì in cortile passasse proprio quel “qualcuno” che avrebbe potuto salvarla?). E poi via di sensi di colpa (come se non bastasse il titolo), segnalandole che anche sua madre avrebbe potuto sbarazzarsi di lei: «Avresti potuto cavartela in una infinità di modi mantenendo quel segreto che non hai voluto o potuto (chissà perché) confidare alla tua di mamma, la donna che ha preferito crescerti piuttosto che ammazzarti». Ecco: chissà perché. Di fronte a quel “chissà perché” non sarebbe stato il caso di fermarsi, di analizzare la situazione, di aspettare qualche giorno per saperne di più? Chissà perché Dirani ha avuto tanta fretta e non ha esitato a continuare a rigirare il coltello nella piaga, sembra solo nell’intento di fare male: «Ma, tu ragazzina, il tuo cucciolo lo hai calato da una finestra stretto in una corda in attesa che il freddo e la fame lo ammazzassero in vece tua. Ti sei scrollata le spalle di quel minimo sindacale di umanità che si richiede per stare al mondo. Sei stata così vigliacca da abbandonare la tua bambina in mezzo ai calcinacci, scarti inutili loro, scarto fastidioso lei». Proseguendo con dettagli pulp che vi risparmio, utili solo a suscitare disprezzo e odio nei confronti della sedicenne.
Che ha commesso un crimine gravissimo, ma non può essere la sola colpevole. Da donna prima e da giornalista poi, non lo sa Dirani in quale oceano di inadeguatezza genitoriale, politica, informativa, educativa annaspano gli adolescenti di oggi per non annegare? Non saranno certo altre parole da hater da tastiera, aggiunte a milioni di parole da hater da tastiera, con l’anatema finale («che questa festa ti perseguiti ogni giorno di quel che resta della tua povera vita»), ad evitare che questo orrore accada di nuovo. O pensa forse che quella ragazzina (una bambina anche lei) avrebbe potuto trovare su Internet le risposte che la società non si cura di darle?


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