«Donna,
prima. Giornalista, poi». È la definizione che dà di sé, nel blog che tiene
sull’Huffington Post, Deborah Dirani, autrice di un pezzo di una cattiveria
gratuita, al limite del sadismo, sulla ragazzina sedicenne che a Trieste ha
partorito una bimba di nascosto e poi l’ha abbandonata nel giardino del suo
condominio provocandone la morte.
Cattivo,
quel pezzo, fin dal titolo, con una condanna senza appello e per di più con
l’intento di suscitare il senso di colpa prendendo spunto dalla coincidenza con
una ricorrenza commerciale, come le tante funzionali al profitto: «La Festa
della Mamma di un’assassina».
Dunque,
da donna prima e da giornalista poi, Dirani non si è preoccupata di capire, non
ha indagato il contesto, non si è informata sul livello di maturità della
sedicenne, non si è chiesta che tipo di rapporti la ragazzina avesse con i
propri genitori e con il tipo che l’ha messa incinta. Non si è chiesta,
insomma, perché ha fatto una cosa così orribile. Semplicemente l’ha marchiata
come assassina.
Ora,
senza voler essere buonisti a tutti i costi o voler cercare attenuanti, a meno che
non sia in possesso di notizie che nessuno di noi ha – dal momento che si sta
parlando di una minorenne che va tutelata e di cui quindi giustamente gli
inquirenti non svelano niente - mi chiedo come possa Dirani emettere una
sentenza così definitiva e addossare tutta la colpa di questo gesto terribile
soltanto sulle spalle di una ragazzina di sedici anni.
Con
parole altrettanto terribili. Ne riporto alcune, che danno il senso
dell’accanimento a senso unico, come se quella ragazzina non avesse intorno una
famiglia, un fidanzato, una scuola, una società che potrebbero essere
corresponsabili in parti uguali: «Perché quella bambina che se ne sta
impacchettata sotto la finestra di casa tua, quella bambina che forse piange,
mentre tu sciabatti dalla camera al bagno – scrive, usando parole volutamente
sprezzanti e acuminate come la punta di un coltello usato per uccidere – per
sciacquarti via il sangue in cui l’hai appena partorita, non è pazzia: è
carogna». Pretende che la sedicenne dovesse sapere come fare, una volta nata la
bimba, ad abbandonarla in sicurezza, sapendo che qualcuno l’avrebbe salvata (e
magari, che ne sai se non sperava che lì in cortile passasse proprio quel
“qualcuno” che avrebbe potuto salvarla?). E poi via di sensi di colpa (come se
non bastasse il titolo), segnalandole che anche sua madre avrebbe potuto
sbarazzarsi di lei: «Avresti potuto cavartela in una infinità di modi
mantenendo quel segreto che non hai voluto o potuto (chissà perché) confidare
alla tua di mamma, la donna che ha preferito crescerti piuttosto che
ammazzarti». Ecco: chissà perché. Di fronte a quel “chissà perché” non sarebbe
stato il caso di fermarsi, di analizzare la situazione, di aspettare qualche
giorno per saperne di più? Chissà perché Dirani ha avuto tanta fretta e non ha
esitato a continuare a rigirare il coltello nella piaga, sembra solo
nell’intento di fare male: «Ma, tu ragazzina, il tuo cucciolo lo hai calato da
una finestra stretto in una corda in attesa che il freddo e la fame lo
ammazzassero in vece tua. Ti sei scrollata le spalle di quel minimo sindacale
di umanità che si richiede per stare al mondo. Sei stata così vigliacca da
abbandonare la tua bambina in mezzo ai calcinacci, scarti inutili loro, scarto
fastidioso lei». Proseguendo con dettagli pulp
che vi risparmio, utili solo a suscitare disprezzo e odio nei confronti della
sedicenne.
Che
ha commesso un crimine gravissimo, ma non può essere la sola colpevole. Da
donna prima e da giornalista poi, non lo sa Dirani in quale oceano di inadeguatezza
genitoriale, politica, informativa, educativa annaspano gli adolescenti di oggi
per non annegare? Non saranno certo altre parole da hater da tastiera, aggiunte
a milioni di parole da hater da tastiera, con l’anatema finale («che questa
festa ti perseguiti ogni giorno di quel che resta della tua povera vita»), ad
evitare che questo orrore accada di nuovo. O pensa forse che quella ragazzina
(una bambina anche lei) avrebbe potuto trovare su Internet le risposte che la
società non si cura di darle?
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