Vorrei parlarvi di Maria Rita. No, non è del
tutto vero: vorrei parlare con Maria
Rita. Però non c’è più tempo.
Maria Rita Lo Giudice, figlia di boss e nipote
di boss – uno in galera, il secondo capo dei capi della zona, il terzo pentito
-, domenica mattina si è alzata presto come se dovesse andare all’Università,
pochi mesi dopo una laurea triennale in Economia con il massimo dei voti, ha
aperto la finestra della sua stanza e si è lanciata: suicida perché si
vergognava di appartenere a una famiglia di ‘ndrangheta. Così sembra abbiano
riferito il suo ragazzo e alcuni amici: quel cognome, che in Calabria conoscono
tutti e si identifica con una ‘ndrina, era un peso impossibile da sostenere.
Come uno di quei massi enormi che di tanto in tanto si staccano da un costone e
precipitano sulla strada affossando l’asfalto e bloccando la circolazione per
settimane, mesi, anni finché qualcuno non si decide a rimuoverli e forse non
succede mai. E intanto la gente è costretta a sfidare la sorte passandoci
accanto, oppure a cambiare strada.
Ma qui c’è qualcosa che non quadra, perché
Maria Rita la sua strada alternativa se l’era costruita, una strada dritta,
senza intoppi, inciampi, avvallamenti: tutti in questi giorni parlano della sua
carriera universitaria e tutti riferiscono che non aveva mai cercato scappatoie
e vie traverse, che ogni esame lo aveva fatto puntando sulle sue sole forze,
che era brava, che aveva già cominciato il corso per la laurea magistrale.
Ecco, se avessi potuto parlarle avrei voluto
dirle delle cose semplici: che, per esempio, avrebbe potuto scegliere di andare
a fare la specialistica fuori e liberarsi da quel nome infamante; che, per
esempio, avrebbe potuto andare all’anagrafe e dare uno schiaffo alla più patriarcale
delle famiglie, quella mafiosa, cancellando il nome del padre; che, per
esempio, non era lei a doversi vergognare, ma suo padre e i suoi zii e tutta la
famiglia che a Reggio Calabria non si è fatta mancare niente del campionario
criminale, dalle rapine al traffico di armi passando per gli attentati ai
giudici.
La stessa famiglia che adesso chiede
“un’autopsia completa”, precisando che la ragazza non aveva mai fatto uso di
droghe ma che la sera prima di uccidersi era strana. Quasi a volere insinuare che
qualcuno l’abbia uccisa o spinta al suicidio, pur di non ammettere le proprie
colpe.
E sembra che preferirebbero sapere che l’hanno
ammazzata piuttosto che ammettere che lei non ne voleva sapere più di loro,
anche a costo di morire.
Avrei voluto parlare con Maria Rita: per dirle
che avrebbe dovuto essere lei a cancellare quel cognome di merda e non avrebbe
dovuto permettere a quel cognome di merda di cancellarla.
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